White God – Sinfonia per Hagen: la recensione

C’era una volta il migliore amico dell’uomo: il cane. Dico c’era perché ora non lo è più. Dopo anni di violenze, maltrattamenti, abbandoni in strada, reclusioni in canili dietro le cui sbarre non sappiamo cosa accade, i cani hanno deciso di ribellarsi, e diventare il peggiore nemico dell’uomo.

white-godVincitore della sezione Un Certain Regard del 67esimo Festival di Cannes e acclamato al Sundance 2015, White God – Sinfonia per Hagen di Kornél Mundruczó è una parabola simbolica della società odierna, dove le distanze e le discriminazioni tra le classi sociali sono sempre più forti, tanto da spingere chi subisce a rivoltarsi. Il regista ungherese realizza un film poderoso, che spaventa e fa riflettere su quanto possa prima o poi accadere se “chi sta sopra” continua a tirare la corda, anzi il guinzaglio.

White God è una favola moderna di uomini e cani ammantata di apocalittico, come dimostra la sequenza d’apertura che ricorda la desolata e fintamente pacifica ambientazione urbana di Io sono leggenda di Francis Lawrence. I cani si sollevano, determinati a portare a compimento un riscatto maturato e trattenuto da tempo. Mundruczó sposa il loro punto di vista, adottando spesso e volentieri una macchina a mano che palesa l’instabilità della situazione, loro e nostra, di un regno animale (e naturale) sull’orlo di una rivalsa su un genere umano prepotente, egoista, non curante del prossimo.

Sbalorditivo il “lavoro attoriale” condotto sui cani, il cui movimento si fa portamento, i cui occhi e sguardi, smorfie e ringhi risultano estremamente espressivi. Un linguaggio “muto” che riesce a parlare allo spettatore più di tanti verbosi e didascalici dialoghi. Di fronte ad un’umanità che si abbaia addosso, ma anche in faccia e sul muso a quegli animali che dovrebbero (solo) tenergli compagnia, i cani di White God ci parlano. E corrono. Uno tsunami di zampe galoppanti come un’inondazione che invade le strade destinata a fermarsi, almeno provvisoriamente, solo di fronte ad un’anima gentile che come un moderno pifferaio magico è capace di placarli, quasi ipnotizzarli, con un’esile ma solenne sinfonia suonata alla tromba. E lì, come nel finale del film, ci inchiniamo, quasi prostriamo di fronte a questo esercito di cani, come a chiedere perdono per tutti i mali che nel tempo abbiamo inflitto loro.

3 commenti

  • Ciao Tommaso! Ho letto molte tue recensioni, mi sono piaciute e mi sono appassionata all’idea di scambiare opinioni riguardanti i films: sono un metodo di comunicazione efficace a diversi piani di lettura che creano nel pubblico un background comune in cui dialogare.
    Sono rimasta stupita dal fatto che nessuno abbia ancora lasciato un commento riguardo questo film (tra l’altro vincitore ad una sezione del Festival di Cannes)!
    Personalmente sono venuta a cercare la tua recensione per delucidazioni…ammetto di essere rimasta interdetta una volta giunta alla fine del film (che ho principalmente guardato incuriosita dal titolo, in quanto musicista io stessa): ho avuto l’idea del “diverso” che si ribella giunto ad un limite di sopportazione è stato spesso messo in ombra da altre tematiche (violenza contro gli animali, incapacità degli adulti di ritrovare la propria innocenza, problematiche adolescenziali della protagonista, discutibile rapporto padre-figlia, generica stronzaggine delle figure di potere), e mi è stato chiaro il significato del film solo verso alla fine, durante la carica dei 101 (splatter) meticci.
    Buchi nella narrativa a parte, questa pellicola è a mio parere spettacolare: viene data molta attenzione alla mimica degli animali (attori muti ma universali, come hai ben detto tu) e posso solo immaginare il mastodontico lavoro che questo comporta, dall’addestramento, alle inquadrature, al montaggio…!
    Complessivamente un film che consiglierei vivamente =)

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