Welcome to New York: sesso e potere
Da sempre sesso e potere sono coppia fissa nell’immagine e nell’immaginario della politica di tutti i tempi. Oggi, nel progressivo disfacimento (a)morale della società odierna, più che mai. Tra i tanti casi, il recente “caso Ruby” di Berlusconi nel nostro triste Belpaese o il meno recente ma “storico” caso Lewinsky che coinvolse l’allora Mr President Bill Clinton.
Per Welcome to New York Abel Ferrara s’ispira ad uno dei fatti di cronaca più discussi da giornali e tabloid di tutto il mondo: lo scandalo sessuale Strauss Kahn. L’allora direttore del Fondo Monetario Internazionale nel maggio 2011 fu arrestato con l’accusa, poi saltata, di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera dell’albergo presso cui alloggiava nella Grande Mela. Ma Ferrara sì limita allo spunto, cambia il nome del protagonista in signor Devereaux, e si lancia in un’acuta, disturbante e fosca analisi delle perversioni del potere. E poco gli importa se ancora una volta non susciterà le simpatie del pubblico comune, dei benpensanti, dei suoi colleghi. Ferrara, come il suo Devereaux, ha un pensiero fisso, e come il più noncurante Principe machiavellico, persegue il suo fine senza esclusione di mezzi.
Dietro una fotografia elegante e notturna, Welcome to New York è un affresco sporco, putrido, quasi straniante di un uomo malato di sesso, dipendenza con la quale si rapporta esattamente come con il potere. Una bulimia senza rigetto, mai sazia, mai doma. Devereaux è un uragano, un buco nero che fagocita quanto gli sta intorno, dove le donne sono oggetti da schiaffeggiare e possedere senza (auto)controllo, in una vita che è essa stessa un oggetto da consumare fino all’osso, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo gemito. Devereaux è una bestia, un animale e i suoi grugniti in camera da letto lo dichiarano ad alta voce. Devereaux è un demone senza redenzione, che spolpa la vita, gode a piene mani del suo lato più oscuro, la rende pregna di un vuoto che, come ammette di fronte allo psicologo, tornerebbe a cercare e riempire se potesse ricominciare da zero, ancora una volta.
La prima parte di Welcome to New York ci ingoia senza darci tempo di inspirare, in un’escalation di depravazione che farebbe impallidire anche Lars Von Trier. Abel Ferrara ci tratta un po’ come le prostitute che sera dopo sera Devereaux ospita in camera, e ci tirerebbe sempre più giù in questa gola profonda se Devereaux, in preda ad un’incontrollata libidine, non commettesse un errore che gli costerà caro. Anche sul finale Ferrara non fa sconti, e lascia intravedere come la giostra continuerà a girare sempre nello stesso verso (se mai si era davvero fermata…).
Di giudiziario e finanziario c’è poco, pochissimo. Quello che interessa a Ferrara è il personaggio e lo mette sfrontatamente a fuoco grazie ad un Gerard Depardieu enorme (non solo per l’abnorme buzza), che si mette letteralmente a nudo in tutta la sua bravura. Impersona magnificamente un uomo che ha qualcosa di mitologico, di non umano, dominato da un vertiginoso senso di sbandamento che non ci fa più distinguere il bene dal male, il lecito dall’illecito, il sesso dal potere, il potere dal sesso.
Abel Ferrara, un maestro nel dirigere le scene di sesso; scene che, se girate senza quel tocco di eleganza e grande consapevolezza di come vengono inserite nella storia e di come vi si rapportano i personaggi, rasentano quasi il pornografico. Un altro lampante esempio ne è 4:44. Grande performance di Depardieu che, nonostante non rientri proprio nei parametri estetici attuali, si sente perfettamente a suo agio davanti alla macchina da presa in déshabillé. Grande è anche il disagio che trasuda, disagio generato da una vita di potere, sfarzo e dalla (forse troppa) possibilità di cedere alle proprie debolezze.
Sì, Abel Ferrara riesce come pochi a conciliare provocazione ed eleganza senza scadere nella volgarità del porno.
Può piacere o meno, ma è un grandissimo regista.