Harlock: Space Pirate
Il mio nome è Harlock, Captain Harlock. E’ così, come fosse 007, che il più noto “pirata spaziale” si presenta a Venezia 70 (fuori concorso) nel lungometraggio in CGI prodotto dalla Toei Animation. Diretto da Shinji Aramaki, Harlock: Space Pirate è costato 30 milioni di dollari, tutti impiegati con ridondanza e successo in un’animazione che, se da un lato lascia tutti senza fiato, dall’altro è maschera raffinata e barocca per celare il più possibile evidenti debolezze di sceneggiatura. Il nèo c’è, si vede, la falla è grossa, e irrompono noia e banalità. La prima incarnata, strano ma vero, da infinite sparatorie laser e tamponamenti intergalattici. La seconda da un inserimento green: la Terra deve essere riconquistata e la speranza risiede tutta in un dolce fiorellino. Non pervenuto l’approfondimento psicologico dei personaggi. Con un’ambientazione da Star Wars e profili fisici alla Final Fantasy, il 3D rende tutto più magico ma non sfonda mai verso lo spettatore, neppure con la futuristica spada/baionetta del protagonista. Delusione interplanetaria.
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