Veloce come il vento: la recensione
Non ricordo grossi film italiani sulle auto da corsa. E questo è già il primo pregio di Veloce come il vento di Matteo Rovere. Di essere diverso, inusuale, e per questo originale nel panorama del cinema made in Italy. Nella patria dei circuiti di Imola e di Monza, della Ferrari e della Lamborghini, Veloce come il vento ci sta come il cacio sui maccheroni. Ma fino ad oggi nessuno li aveva serviti al cinema.
Veloce come il vento è una ventata d’America in Italia, avendo ben poco da invidiare a Rush di Ron Howard, senza dubbio uno dei film sulle auto da corsa più palpitanti degli ultimi anni. Ma il film di Rovere riesce a mischiare le quattro ruote con sentimenti familiari, di arresa e riscatto, di declino e risalita. Ecco, come nella migliore tradizione italiana, lo scheletro è la famiglia. Una famiglia di piloti, “un’arte” trasmessa di padre in figlio/a, una famiglia che collassa per un colpo al cuore che esplode come una ruota a massima velocità. La frantumazione generata dalla scomparsa del pater familias si accompagna al ritorno a casa del “figliol prodigo” e tossico, ex campione del tempo che fu. Ma come in ogni famiglia che si rispetti, c’è sempre qualcosa da imparare e insegnare, e allora scatta la complicità degli opposti. Il fine: la sopravvivenza di tutti.
C’è quindi una sceneggiatura alla base di Veloce come il vento, la quale si installa sull’albero motore di una Gran Turismo tutta da pestare, tra curve tonde e curve tagliate, tra guida pulita e guida sporca. E così le corse, come spesso capita, diventano metafora della vita, di rischi da prendere e di sguardi lunghi da lanciare sulla curva che ancora non si vede all’orizzonte. Veloce come il vento è quindi pieno di insegnamenti che suonano come frasi fatte, ma la morale è intrinseca e inevitabile di fronte a storie del genere, per di più se tratte da una storia vera.
Veloce come il vento è un film che va forte, che forse non si prende tutti i rischi che potrebbe, ma che certamente si fa apprezzare per stile e coraggio. In fin dei conti è dura fare un film quando non si hanno modelli a cui rifarsi. Ecco, Veloce come il vento è un modello unico, raro, una limited edition, un prototipo con i suoi difetti, le sue sgommate e le sue grattate, che a più riprese struscia sul ghiaino ma con consapevolezza. Un film che dimostra come il cinema italiano possa uscire dagli schemi, caricandosi sul tettuccio i suoi errori, ma anche lucidando bene i suoi pregi meritevoli della vetrina di un festival serio.
Bravissima la giovane protagonista, Matilda De Angelis, classe 1995. Il volto di una bambina, la voce graffiata da donna vissuta, gli occhi di una dolce pantera. Al suo fianco Stefano Accorsi in una delle parti più controverse della sua carriera. Pur con degli eccessi, sa come strappare risate e commozione nei panni del good bad boy.