Vacanze di Natale (1983): 35 anni (e non sentirli!) di italianità

Recensione di Vacanze di Natale del 1983.

vacanze di natale 1983Era il 23 dicembre 1983 quando nelle sale italiane usciva Vacanze di Natale di Carlo Vanzina, capostipite del tanto amato e allo stesso tempo infamato filone dei cinepanettoni made in Italy. Un film che, rivisto oggi, a 35 anni di distanza, conserva intatta la sua potenza comica ma anche lo sguardo antropologico-sociale, fotografia dolce-amara di un Belpaese che non esiste più, dove a Cortina convivevano ricchi ricchissimi e poveri poverissimi, in un perfetto equilibrio tra nostalgia, romanticismo e smodata simpatia.

A differenza di molti film degli anni Ottanta, Vacanze di Natale, come colpito da un arcano incantesimo, non ha perso un colpo in termini di ritmo e di satira sulla società italiana e sulle smanie della villeggiatura che da Goldoni a oggi non hanno perso lustro né lucidità critica. E suscita anche un po’ di rabbia constatare come, col passare degli anni, come in un telefono senza fili alquanto difettoso, nella “saga” dei cinepanettoni (o presunti tali) si sia persa l’essenza che muoveva Vacanze di Natale. Riguardatelo durante le feste natalizie e vedrete che non era volgare, grossolano e triviale come gran parte dei filmacci di Natale che hanno invaso, e per largo tempo anche riempito, le nostre sale negli ultimi trent’anni. Vacanze di Natale è un mix magistralmente calibrato di ironia e battute spassose, ma anche sentimentalismo e romanticismo, grazie ad una sceneggiatura che non si limita a giustapporre gag, ma a confezionare un’immagine, assolutamente immortale, degli italiani nei favolosi anni Ottanta. Un frutto maturo e buonissimo anche grazie a degli attori in stato di grazia che incarnano dei personaggi passati presto al rango della leggenda: Gerry Calà, in veste di (im)probabile sciupafemmine, che arriva sulla neve di Cortina col mocassino; Christian De Sica nei panni dell’ansioso signorino Covelli, effemminato e godereccio, con una mimica facciale e una gestualità raramente ritrovata nelle commedie italiane a venire; Claudio Amendola, praticamente all’esordio, plebeo dagli occhi sognanti e dalle belle speranze; Stefania Sandrelli, già splendida diva del cinema italiano (aveva già lavorato con Germi, Pietrangeli, Bertolucci, Lizzani, Scola) che, nello stesso anno de La chiave di Tinto Brass, si “concede” questa parentesi comica assolutamente riuscita, in cui sfodera tutta la sua femminilità e sensualità mettendola al servizio di un “film per tutti”; e poi ancora un Riccardo Garrone omofobo e divertentissimo, Mario Brega nell’ennesima grande prova di romanità dura e pura, e addirittura Moana Pozzi in un ruolo “di passaggio” che lascia il segno.

Ma forse la cosa che più colpisce oggi di Vacanze di Natale del 1983 è quanto sia cambiata l’Italia (in peggio ovviamente). Quanto siamo cambiati in trent’anni! Prima a Cortina, un po’ come accadeva nella commedia dell’arte, il povero e il ricco sedevano accanto, condividevano gioie e dolori, convivevano nella stessa compagnia di amici. Insomma, le classi sociali c’erano (eccome!), ma dialogavano, e in vacanza quasi si mettevano in pausa, per una manciata di giorni, le differenze che durante l’anno si facevano sentire (e vedere). Oggi, invece, l’abisso si è allargato all’inverosimile: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri. Ma soprattutto non c’è più dialogo, non c’è più confronto, in un paese sociale dove l’amicizia tra gli opposti ha ceduto il passo alla guerra tra eguali, di poveri che si accapigliano tra loro, con i ricchi che stanno a guardare. Se prima eravamo così vicini e così lontani, oggi neppure più del vicino di casa ci fidiamo.

Concludendo, non posso non ricordare alcuni momenti o frasi salienti: “Dovemo annà a scià, mica a fa Guerre Stellari” detta dai Marchetti; “La cugina del tortellino? La gnocca!” pronunciata da Gerry Calà; il manichino di Babbo Natale “immortalato” a compiere gesti osceni; il Bianco Natale che, in seguito ad una cilecca a letto, diventa per il latin lover Billo un “Natale in bianco”; il bellissimo dialogo tra la Sandrelli e Calà a suon di versi di celebri canzoni (forse il picco di romanticismo del film!). Vacanze di Natale che, tra le altre cose, può essere visto come una sorta di film-canzone, tanto è importante la colonna sonora che accompagna, quasi senza sosta, tutta la pellicola, con hit semplicemente eterne come Dance all night e Maracaibo di Lu Colombo, Dolce vita di Ryan Paris, I Like Chopin dei Gazebo, Moonlight Shadow di Maggie Reilly, Paris Latino dei Bandolero, Sunshine Reggae di Laid Back.

“Non sono bello, piaccio!” afferma in una scena Gerry Calà. E Vacanze di Natale piace, piace ancora. Anzi più invecchia e più è buono.

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