Tre piani di Nanni Moretti: recensione
Recensione di Tre piani di Nanni Moretti.
Doveva capitare prima o poi che anche Nanni Moretti sbagliasse un film. E quel film, duole dirlo, è Tre piani, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Eshkol Nevo. Non ho letto il libro, lo dico in principio, ma quello che a pelle c’arriva è uno scollamento tra come Moretti ha sentito il libro (tanto da volerlo portare sul grande schermo!) e come poi lo ho reso on screen. Ci sono forti scuciture che creano una patina di disagio in cui viene lasciato annegare lo spettatore. Voluto da Moretti? Può darsi, forse sì, non è uno sprovveduto. Ma sibillino com’è, non sapremo mai la verità…
Tre piani è un film corale, ma fatto a strati, a piani appunto, come un vecchio condominio costruito a pezzi (o spezzettato?) con cementi ora più solidi, ora più sabbiosi, ora addirittura acquosi. Il risultato non tiene e si sbriciola dietro una piattezza che alla lunga si traduce in noia, che lascia attoniti, quasi atterriti.
Giunti in fondo a Tre piani viene da chiedersi: dov’è finito il Nanni Moretti di prima? Tristezza, sconforto e dolore hanno surclassato l’ironia, l’ego ingombrante e disturbante, l’originalità di toni e umori del cinema morettiano di una volta. Ma non mi riferisco solo a quello dei “tempi d’oro” (o forse sarebbe meglio dire “sogni d’oro”). Penso anche a quello più recente, quello di Mia madre, Habemus Papam e Il caimano. Il dramma c’era, si tagliava a fette, ma ben si compensava e amalgamava con la simpatia sorniona e sfacciata di un autore/attore che amava rubare la scena anche al Papa e a Berlusconi. Il dramma lacerante toccò il suo apice con La stanza del figlio vent’anni fa. Ecco, Tre piani vorrebbe forse riproporre situazioni del genere, con dolori indicibili, dubbi angoscianti, fitte allo stomaco e crampi cerebrali. Ma fallisce. E il motivo di questa debacle sta nell’adattamento di un romanzo altrui. Moretti non l’aveva mai fatto prima, ha fatto bene a provare, ma il risultato è una delusione cocente.
Insomma, è un film distante e freddo come la fotografia di Michele D’Attanasio, che non pulsa vita pur raccontando di vite sconvolte, distrutte, interrotte. Tre piani, come un ascensore guasto, si ferma al piano terra, alla superficie, alla maniera. Quando a noi, dalla disperazione, verrebbe da buttarci dal terzo piano…
Io non sono annegata, anzi ho seguito il film col fiato sospeso, e penso che Tre piani sia tra i film migliori di Nanni Moretti proprio per quella coralità che la recensione giustamente menziona; se ho letto bene il regista si è ispirato al libro, ed anzi vi inserisce qualcosa di nuovo che mostra la possibilità delle conseguenze delle nostre azioni. L’ho trovato un film coraggioso che sfida a viso aperto la banalità e mostra la complessità del nostro vivere e delle relazioni, è un film che chiama in causa lo spettatore e gli chiede di impegnarsi, non si lascia vedere, bensì induce ad aprire gli occhi. E con gli occhi sorridenti, nonostante tutto, il film chiude: bello, delicato, profondo. Andate a vederlo!
Pienamente d’accordo. Il recensore ha completamente perso il film nel vano tentativo di rintracciare in ogni frame, in ogni dialogo, l’ironia sorniona di Nanni, le sue analisi sociali. Nulla di tutto ciò. Il film è asciutto, severo. Non concede spazio a diversi piani di lettura, lasciando che sia lo spettatore ad usare la lente per scrutare l’anima dei personaggi. Non il solito Nanni, ma ugualmente spietato. Il male ha scavato nel profondo, e ciò si riflette in questo suo inedito approccio al fare cinema.
Brava Rita! Ha fatto centro. Chi ha provato nella vita una esperienza simile ad uno degli interpreti rimane stregato e sta ‘col fiato sospeso’ tutto il tempo del film.
È chiaro che al recensore Nanni non sta simpatico.
Il libro è bellissimo. Molto. Invito a leggerlo.