Tornare a vincere di Gavin O’Connor: il trionfo di Ben Affleck

Recensione di Tornare a vincere di Gavin O’Connor.

Poche carriere a Hollywood sono state discontinue e tormentate come quella di Ben Affleck. Un ricorrente saliscendi tra picchi luminosi (come L’amore bugiardo, Argo, The Town) e cadute rumorose (come Justice League, Paycheck, The Accountant). Tornare a vincere è il suo ritorno sul podio, a testa alta, col sole in fronte. È a tutti gli effetti il trionfo di Ben Affleck, al quale il regista Gavin O’Connor ha cucito addosso un personaggio che calza a pennello alla sua persona. E si vede, eccome se si vede.

Tornare a vincere non è la solita storia, tipicamente americana e tipicamente imbevuta di pacchiano spirito a stelle e strisce, di riscatto e rinascita. È anche questo. Ma la differenza la fa il passaggio attraverso l’inferno della sofferenza, dell’autoisolamento e dell’autolesionismo in cui spesso ci piace sguazzare. E tutto ciò passa nei dettagli. Un esempio? Jack Cunningham è un alcolizzato e O’Connor ci racconta questo suo tallone d’Achille sin dalla prima sequenza: quella lattina di birra portata fin sotto la doccia ci dice già tutto sul protagonista, senza perdere tempo inutile nel “costruire” il suo dolore. Il risultato è trionfale, ma la regia non s’adagia su facili “trovate” fastose che renderebbero tutto più facile. O’Connor dosa bene i toni, tirandoli più che può ma senza incappare in strappi da principiante o tipici di chi, in ansia da prestazione, forza la mano fino a finire fuoristrada.

Certo lo sport si presta come poche cose al mondo a questo tipo di parabole, dalle stalle alle stelle, e questo Tornare a vincere lo sa bene. Tanto che se c’è una sacrosanta strumentalizzazione, è proprio quella che passa attraverso il basket per raccontarci chi, nello spirito di quello sport, c’ha piantato le radici della propria vita e del proprio modo di vivere.

Nel sudore sulla fronte, nel viso arrossato dal sole, in quello sguardo da cane bastonato, ma anche in quella possanza che pare strappare camicia e cravatta in cui è obbligata a rimanere compressa, insomma nella fisicità di Ben Affleck c’è tutto la fatica di scelte sbagliate, di rimpianti cocenti, di solitudini inevitabili, ma anche quella scintilla di luce in fondo al tunnel che non ci lascia mai. E la sua performance, ben sorretta da una colonna sonora che sa quando è il momento di entrarci dentro, riesce a farci venire i brividi e anche qualche luccicone agli occhi.

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