The Silent Man: il sonno profondo dello scandalo Watergate
Recensione di The Silent Man, film di Peter Landesman, con Liam Neeson, Maika Monroe e Diane Lane.
Di film sullo scandalo Watergate della presidenza Nixon ne sono stati fatti vari. Senza dubbio il più noto e certamente il più bello è Tutti gli uomini del presidente del 1976 di Alan J. Pakula. Un filone, quello intorno al presidente Nixon, che ha poi visto altri film importanti, come il recente The Post di Spielberg, Frost/Nixon – Il duello di Ron Howard, Gli intrighi del potere – Nixon del 1995 di Oliver Stone. The Silent Man è un film di cui potevamo fare tranquillamente a meno perché non aggiunge nulla, ma proprio nulla, a quanto già sappiamo ed è stato detto e ridetto sul caso che “annegò” Nixon.
Sì, è vero, stavolta si sposa (o almeno ci si prova) un punto di vista diverso (anche se non nuovo!), ovvero quello di Mark Felt (Liam Neeson), l’informatore dell’FBI passato alla storia col nome di “Gola profonda”. “The Man Who Brought Down the White House”, cioè l’uomo che fece crollare la Casa Bianca, è il sottotitolo originale del film, aggressivo ma fin troppo didascalico per “argomentare” quell’agente quieto ma dannatamente accanito di Felt. The Silent Man, però, purtroppo, non alza mai la voce, rimane un film silenzioso tanto quanto l’uomo del titolo, e non fa crollare la Casa Bianca, tutt’al più qualcuno dal sonno sulla poltroncina del cinema.
The Silent Man, infatti, è un film piatto, che non cresce né esplode mai, incapace addirittura di accendere la miccia della suspense. La regia di Peter Landesman (che invece aveva dimostrato carattere in Zona d’ombra) e la fotografia di Adam Kimmel annebbiano toni, ambienti, personaggi, fino a contagiare la mente di chi guarda rischiando di gettarla nelle dolci braccia di Morfeo. Tutto è confinato in un’inesorabile scala di grigi, quello stesso grigio che colpisce in primis la performance di Liam Neeson, attore invecchiato e smunto non solo nel fisico. Un attore che ha fatto grandi film, ma che stavolta forse è calato nei panni di un personaggio che non può o non riesce a stargli davvero addosso, alle calcagna, come invece vorrebbe il carattere tenace e stoico del personaggione che interpreta. Ulteriori grosse magagne sono individuabili nella sceneggiatura, che procede a spizzichi e bocconi, con ellissi che non rendono chiaro quanto accade tra un evento e l’altro. Sintomo anche di come sia difficile dire diversamente o di più quando si è già detto molto, se non tutto, sul caso Watergate e su tutti quei loschi o illustri figuri che vi hanno girato attorno.