The Post: tutti gli uomini di Meryl Streep (non bastano)
Diciamolo subito: The Post non è incisivo né paragonabile a Il caso Spotlight o Tutti gli uomini del presidente. Non ha la secca aggressività del film del 2015 di Tom McCarthy né l’asciuttezza che ferisce del film del 1976 di Alan J. Pakula. Nonostante questo è un film che grida la propria necessità d’esistere. The Post, pur evitando sbandieramenti, non sa nascondere un certo americanismo e una certa vena patriottica. E Spielberg, dopo Lincoln e Il ponte delle spie (ri-leggi la recensione), da questo punto di vista, è senza dubbio il regista più azzeccato per dirigerlo.
The Post è una di quelle storie che il cinema deve raccontare. “Una notizia è una fetta di Storia” afferma Katharine Graham (Meryl Streep) in una delle scene finali. Stessa cosa potremmo dire dei film, del cinema, che in qualche modo, come già si pensava ai tempi di David W. Griffith, ha il potere di “scrivere”, visualizzare, per non dire “stampare”, la Storia su pellicola, sul grande schermo. The Post ha questo grande pregio, d’incidere un pezzetto di Storia, che da americana è in realtà poi universale, su “nastro”. Tanto che la fotografia di Janusz Kaminski, fedelissimo braccio destro di Spielberg da oltre vent’anni, ha la capacità di tarare tutto il film su una scala di grigio che richiama alle pagine dei quotidiani, all’inchiostro impresso su carta in vari toni e sfumature.
The Post racconta una battaglia di civiltà, una battaglia sui diritti, le responsabilità e la libertà di e della stampa, ieri come oggi. Una lotta e una conquista d’altri tempi, che profumano di vintage e di passato, di quando solidarietà e cameratismo del mestiere emergevano al di là della concorrenza in edicola. Professioni di fede e concetti di cui oggi sembriamo orfani, in un’epoca dove vince chi pubblica prima o sputtana prima l’avversario, per non parlare dell’imperante mostro delle fake news sempre meno arginabile.
The Post non ha sbavature, la regia di Spielberg non si discute, è impeccabile, così come il ritmo del film che riesce a mantenersi piuttosto costante anche grazie alla colonna sonora di un sempre ispirato John Williams. Spielberg, Kaminski, Williams, ai quali si aggiungono le performance così belle da apparire asettiche di Meryl Streep e Tom Hanks. Dietro The Post c’è un dream team, uno squadrone di campioni. Ma alla fine qualcosa manca. Manca il guizzo che colpisce basso, del reporter che acciuffa la soffiata esclusiva. The Post racconta il coraggio, ma a ben vedere è proprio su questo coraggio che si siede, come su un letto di alloro, invece di spenderlo in qualcosa che vada oltre il (mero) racconto (a tratti anzi è più un’epopea) dei fatti. The Post rimane “giornalistico” e poco “critico”. Questo il suo (forse) unico difetto, errore di battitura che però spicca in prima pagina.