The Grand Budapest Hotel: un trionfo di stile, colori e avventura
La più bella fuga da Alcatraz, e dalla realtà, degli ultimi anni. The Grand Budapest Hotel è un incanto per i nostri occhi e per il cinema tutto.
Wes Anderson ci regala senza dubbio il suo film più riuscito, massima espressione di uno dei registi più originali e registicamente definiti dal Duemila ad oggi. Una regia così inconfondibile è riscontrabile solo in Lars Von Trier.
L’eccentrico e geniale regista texano ci catapulta nell’immaginaria repubblica di Zubrowka, in un’Europa dei primi del Novecento che non c’è più, o che forse non è mai esistita. Più libero e fantasioso di un racconto di Lewis Carrol, The Grand Budapest Hotel è un paese delle meraviglie che ipnotizza e lascia continuamente a bocca aperta (quando non siamo impegnati a ridere). Un’eleganza e una minuzia dei dettagli come solo un film di Miyazaki saprebbe fare. E il riferimento al mondo dell’animazione è calzante, perché The Grand Budapest Hotel è un trionfo di colori, scenette, un po’ fumetto un po’ cartone animato, di personaggi così ricchi di sfumature mimiche e psicologiche che sanno fuggire le spettro della vacua macchietta. Gustave, Dimitri, Zero, Madame D. e tutti gli altri sono dotati di una simpatia sconfinata, e vorremmo conoscerli, importarli nella nostra sbiadita realtà, o ancor meglio tuffarci noi nella loro a dir poco arlecchinesca.
Tra farsa e melò, romanticismo e cinismo, un dolce ricchissimo e stilosissimo che solo il tanto decantato Mendl’s, forse, potrebbe eguagliare.
The Grand Budapest Hotel è grande cinema, un sommo inno all’invenzione e all’immaginazione come solo il cinema, attrazione per eccellenza, sa fare.
Premetto che non ho capito se posso lasciare un commento anche senza votare il post. Sai, che invece io sono stato molto deluso dal film, ma anche perché avevo più aspettative di quanto il film abbia soddisfatto. L’ho trovato molto kitsch, e che Anderson stia ormai trovando una formula (cioè personaggi originali, cast stellare, stiuazioni fuori dagli schemi, velocità, patina colorata), ma nel film rispetto ai precedenti mi sembrava tutto vuoto e seza necessità.
A parte i gusti non è un po’ esagerato paragonarlo a Lars Von Trier? Per me Anderson è un bravo artigiano (un po’ come Nolan o Fincher pe altri genri), ma Von Trier è un artista.
Certo che puoi lasciare un commento senza votare. Io invito a fare una cosa o l’altra, oppure entrambe! Quindi vota pure… 😉
Anderson non è solo un bravo artigiano. Secondo me è un artista, e un film come “The Grand Budapest Hotel” lo dimostra ampiamente. Il mio non è un paragone con Von Trier, ci mancherebbe altro, sono due mondi distinti. Dico solo che hanno, ciascuno a modo suo, una modalità di fare cinema che si distingue dalla massa. Sono registi per i quali basta vedere il primo minuto di film e capisci che dietro la macchina da presa possono esserci solo loro…
Ok, grazie per la dritta! Preferisco lasciare il commento semplicemente! 🙂 Non so, io distinguo personalente un artigiano da un artista, nel senso che Lars Von Trier rispetto ad Anderson per me esprime una visione del mondo, vuole dire qualcosa attraverso il film, mi sembra. Anderson fa film spiritosi, arguti, ha un ottimo stile, ma mi sembra che ci sia rischio che sia solo questo, almeno in quest’ultimo. Immagino che tu vedi più la cosa dal punto di vista tecnico…
Credo siano entrambi artisti. Von Trier per la forte componente registica (in senso proprio) che ci mette. Anderson per la composizione estetica, dell’immagine, dove l’arte (in senso più canonico) trova ampiamente posto.