The Founder di John Lee Hancock: la recensione
Alzi la mano chi non conosce McDonald’s: tanto amato quanto odiato, è sicuramente uno dei brand più conosciuti del pianeta, un simbolo della cultura di massa e del capitalismo occidentale. Ma quanti conoscono la sua genesi? Ecco quindi The Founder.
San Bernardino, sud della California, fine anni ’50. Raymond Kroc (Michael Keaton) è un piazzista di frullatori ad uso professionale che, giorno dopo giorno, gira per il paese passando da un ristorante all’altro. È stanco, disilluso. Ha cercato più e più volte, fallendo, il modo per entrare in quella ricca società (siamo negli anni del boom economico!) di cui disperatamente vuole far parte. Invece ne è diventato lo zimbello. Sa di averne le capacità. Quel che gli manca, e che è stanco di cercare, è l’idea giusta. Fino a quando non si ferma nel locale di Richard e Maurice McDonald (i bravi Nick Offerman e John Carrol Lynch) e vede il loro metodo destinato a rivoluzionare la ristorazione. I fratelli hanno infatti inventato una sorta di catena di montaggio per assemblare, cucinare e servire un pasto a basso costo e takeaway. Cibo buono, veloce, da consumare in un posto pulito e tranquillo, adatto alle famiglie. Ray ne intuisce subito le potenzialità. Per questo prima si destreggia per avviare un franchising, poi per strappare legittimamente non solo l’idea ma persino il cognome ai due fratelli.
The Founder di John Lee Hancock è una rappresentazione minuziosa delle due facce contrapposte del “sogno americano”, fondato su un capitalismo dissoluto, cioè su un sistema economico impietoso e tutt’altro che roseo. Da un lato troviamo i fratelli McDonald, l’America onesta, integra e coscienziosa che trae forza da una grande idea, ma che è troppo idealista e perciò destinata a fallire. Dall’altro c’è Kroc, arrivista, feroce, che abbandona ogni remora e scrupolo, ma che ha il giusto respiro per essere vittorioso.
È l’analisi sul fare e sull’essere di un businessman che riflette quella di un paese intero, di come la sua intraprendenza si tramuti in irrefrenabile brama e desiderio di ricchezza e prestigio. È come per i milk-shake che servono: prima fatti col gelato e frutta fresca di prima qualità, poi realizzati con scadenti polverine liofilizzate da massimo rendimento con minimo sforzo.
All’inizio non si può che ammirare l’ambizione e l’abnegazione di Kroc. È accorto, si fida del suo istinto nelle scelte, vuole migliorare se stesso e la vita dei suoi cari. Ma via via che The Founder procede, egli abbandona pezzo dopo pezzo ogni integrità – le strette di mano, gli accordi, la famiglia – pur di realizzare i suoi intenti, facendo così luce su un aspetto del “sogno” che tutti conoscono ma che nessuno gradisce: negli affari il genio non basta, ci vuole pelo nello stomaco. Non esiste garbo o correttezza e il pragmatismo prende il posto dell’idealismo, senza preoccuparsi di snaturare l’idea iniziale. Se vuoi sfondare, se vuoi accumulare soldi su soldi, è necessario non guardare in faccia nessuno, neanche se stessi. È infatti evidente che Kroc non si ritiene una cattiva persona, anzi è quasi fiero di essere quello che è. Di conseguenza egli procede come un caterpillar, nella trita convinzione che il fine giustifichi i mezzi nel creare un impero da miliardi di dollari.
Michael Keaton è superbo nel fondere questi due aspetti. Il suo volto è una maschera, dove il sorriso aperto distoglie dalla rapacità del suo sguardo. Come uno squalo col colletto bianco, egli si aggira tranquillo ma inquieto, fino a quando non fiuta il sangue. Allora si trasforma, diventa frenetico e, quando azzanna la preda, non si ferma più. Purtroppo il film, al contrario, ha poco mordente: è troppo lungo, fiacco, non abbastanza “cattivo”. Il regista non riesce a rendere fino in fondo la spinta che muove Kroc, rendendo il tutto poco coinvolgente. Per intenderci, The Founder non ha la forza, ad esempio, di The Social Network, recente opera sul fondatore di Facebook, che tratta lo stesso argomento ma con ben altri risultati.
scritto da Vanessa Forte