The boy, bambini e brividi di porcellana
Chi non ha avuto una nonna che in camera da letto o in salotto, sul cassettone o su un armadio, conservava almeno una bambola di porcellana? E chi non aveva paura di quelle strane “piccole donne” impassibili?
The boy di William Brent Bell in un certo senso va a scavare in questa nostra fobia: quella dei pupazzi. Se a questa aggiungiamo che bambolotti e bambini (non) morti sono un classico del brivido, il film del terrore è servito.
The boy è un ottimo horror del Terzo Millennio. Un horror che sa mescere alcuni dei migliori elementi tipici del terrore. Tra questi, una bella casa lussuosa e isolata (al primo sguardo la mente corre immediatamente a quella di The Others) e delle regole da seguire per rimanere vivi. Perché spesso in un film horror ci si salva solo se si seguono le regole imposte “da altri”, evitando di incappare nel folle desiderio di infrangerle perché “tanto non può accadere nulla di pericoloso”. In fin dei conti, se ci pensate bene, “non aprite quella porta” era più di un mero avvertimento.
The boy è un horror inquietante, che almeno in un paio di casi fa letteralmente saltare sul posto anche l’animo più intrepido e spavaldo. Un horror ben diretto, senza particolari colpi di coda, cosciente di come il suo punto di forza sia il “gioco di squadra” tra topics che sono garanzia di buon prodotto e buona riuscita.
Sospeso tra racconti e fotografie, The boy tiene alta la tensione con invidiabile costanza, pur perdendo qualcosa nel finale con un colpo di scena che cede al solito e usurato personaggio mascherato “figlio” di Jason Voorhees and friends.
Perdonato però questo peccato veniale, The boy è un buonissimo film, allo stesso tempo cult e blockbuster, capace di ritagliarsi un posticino nell’albo di quegli horror da guardare quando si è in cerca di una vera scarica di paura.