The Artist: la recensione
Vincitore a Cannes 2011 del premio al miglior attore (Jean Dujardin), The Artist di Michel Hazanavicius è un’opera magica, pregna di nostalgia del cinema che fu, che incanta, lascia a bocca aperta, cattura gli occhi e l’anima. “Non ne fanno più di film belli come quella di una volta!” ripetono spesso i nonni, intrisi della filosofia del “si stava meglio quando si stava peggio”. Michel Hazanavicius riesce invece, negli anni Zero invasi dal 3D, a forgiare un’opera non solo bella, ma anche come quelle di una volta.
Ambientato tra il 1927 e il 1932, vi si racconta di George Valentin, star del cinema muto idolatrata dalle folle che un giorno si ritrova ad essere démodé in seguito all’avvento del sonoro. Prende il suo posto nei cuori dei fan la bella soubrettina Peppy Miller, futura diva del film parlato. Peccato che tra i due sia precedentemente nata una dolce liaison…
The Artist, presentato in apertura della rassegna France Odeon, la prima di tante che compongono la 50 Giorni di Cinema Internazionale di Firenze, è un’opera capace di parlare forte e chiaro del e col linguaggio muto nell’era del frastuono a tutto dolby surround. C’è quindi qualcosa in più e di diverso rispetto a Viale del tramonto e Cantando sotto la pioggia. Il passaggio dal muto al sonoro non viene descritto con il linguaggio “nuovo” (quello di oggi, quello parlato), ma con quello “vecchio”, incentrato su facce non-parlanti e gestualità da istrionici mimi. Livello del parlato sviluppato poi da Hazanavicius su più piani (basti ricordare la non-comunicazione verbale tra Valentin e la moglie, oppure il soprammobile con le tre scimmiette).
Tutto è come in un film degli anni Venti: iris, raccordi di montaggio elementari, pacata giustapposizione di scene con puro scopo narrativo, cartelli/titoli per illustrarci solo pochi e brevi dialoghi tra i personaggi. Trait d’union è la colonna sonora dal gusto jazz capace di far continuamente tintinnare i nostri piedi. Ma Hazanavicius non si limita ad un revival dal sapore retrò. Rilancia la sua sfida al cinema d’oggi con un bianco e nero lucido ma non troppo e mirati inserimenti sonori che non è sprecato definire geniali. Rimangono indelebili nella nostra mente il sogno in cui Valentin poggia il bicchiere di whisky sul tavolo del camerino e lo sente sbattere (non dico come continua la scena) e il finale “col fiatone” (non rivelo altro). Le trovate sono molteplici, sintomo di una sceneggiatura curata con fare certosino per deliziare il pubblico con qualcosa di nuovo nel vecchio, di spettacolare nel senso non-canonico del termine.
Jean Dujardin è immenso, stra-meritevole del premio vinto a Cannes. Spigliato, solare, disperato, languido, splendido. Ogni sentimento passa con chiarezza attraverso una mimica facciale marcata ma misurata, accentuata ma composta. Sorriso smagliante a 32 denti, baffetti da Zorro/Fantomas, padronanza di ogni gesto, portamento regale. È la prova della vita. Al suo fianco Berenice Bejo, di una bellezza abbagliante e di una bravura calibrata, mai sopra le righe. Ottime anche le performance di John Goodman e James Cromwell.
Insomma, un film pregevole, perfetto, di quelli che rinfrancano l’anima, che fanno sospirare e divertire. Di quelli che ne passa uno ogni lustro, destinato ad entrare nei manuali di storia del cinema.
the artist:un film storiografico? un film vintage? un film musicale? un film sentimentale?anche tutto questo ma soprattutto un gran bel film,un film fatto col cuore e con grande professionalità,un cast eccellente appropriato e pieno di qualità emergenti ,la Bejo è per chi come me non la conosceva una rivelazione di classe,simpatia ,bellezza e bravura ,potrà dare molto alla cinematografia se troverà registi intelligenti e capaci ,si sentiva il bisogno di un volto fresco,sorridente e accattivante .featuring il cagnolino terrier un vero professionista.la magia del bianco e nero e : IL MUTO ,che meraviglioso sistema artistico non ci siamo abituati ma se fatto e interpretato così è arte anzi ARTE.
Un film da ricordare e da proporre ai cinefili.
Amedeo