Miracolo a Le Havre: la recensione

miracolo-a-le-havreMiracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki, evento speciale in apertura del 29esimo Torino Film Festival, è una favola antica e moderna colma di speranza.

Marcel è un lustrascarpe che conduce una vita onesta destreggiandosi tra il lavoro, gli “aperitivi” al pub all’angolo, la tacita compagnia della cagnetta Laika, gli amici della strada sotto casa e la silenziosa mogliettina Arletty. Ma un giorno quest’ultima si ammala gravemente e un bambino immigrato dall’Africa, approdato in Francia in un container e sfuggito alla polizia, piomba nella sua vita. E tutto cambierà…

Il tema dell’immigrazione ai confini marittimi anglo-francesi non è nuovo (è apparso di recente sul grande schermo con il bellissimo Welcome). Kaurismaki mette da parte i toni da dramma struggente del collega Philippe Lioret e vira verso una commedia surreale, che parla dritta al cuore senza bisogno di tante paroloni. Non c’è retorica, non c’è demagogia spicciola.

Un’opera di straordinaria dolcezza, che commuove dentro senza far sgorgare lacrimoni fuori, che diverte con semplicità ed intelligenza, che fa riflettere sulle relazioni con lo “straniero”. Scorre sottesa e manifesta nelle vene della pellicola una sana ideologia cattolica: l’aiuto al prossimo, gli ultimi che saranno i primi, le beatitudini, la sacralità dell’ospitalità. Ma non è catechismo. E’ la pura umanità di un microcosmo di uomini di buona volontà, microcosmo che ci viene raccontato con ritmi lenti, alienati, poetici, e con dialoghi sinceri, “stoppati”, quasi letterari.

Un film sull’“ereditarietà” dell’accoglienza che si fa lavoro di squadra, quell’accoglienza che è l’unica strada maestra verso un mondo migliore. Arletty ha salvato Marcel dai marciapiedi, Marcel salva Idrissa dal mare. E Idrissa, nel confessare prima di partire “Marcel, non ti scorderò mai!”, fa intravedere un nuovo scambio di solidarietà. Un concetto che ci ricorda molto da vicino la “teoria” esplicata nel sottovalutato e dimenticato Un sogno per domani di Mimi Leder.

Un’opera di alto contenuto artistico anche nella composizione coloristica dell’immagine. Come spesso accade quando si parla di profondo nord e distese marittime, anche in Miracolo a Le Havre dominano i toni freddi (nelle pareti dell’ospedale, nelle vedute del porto, negli abiti di Marcel). Ma qua e là spuntano rossi e gialli accesi (ma non pacchiani). Quel colore che stacca e colpisce i nostri occhi, simbolo di speranza, cambiamento, futuro.

In merito agli attori Andrè Wilms è immenso. Il piccolo Blondin Miguel, tutto occhioni dolci e vissuti, pur non cambiando mai espressione come una maschera tribale, si fa amare dal pubblico sin dalla prima apparizione “spettrale” nel container. Jean-Pierre Darroussin, algido commissario dal cuore tenero e “illegale”, pare uscito da un noir di gangster d’altri tempi. Kati Outinen, con quella fissità di sguardo da cinema polacco, ci commuove e spiazza.

Insomma, un film non per tutti, ma con contenuti comprensibili anche da un neonato. A dialogo con Arletty, il medico afferma che “non esistono miracoli in questo quartiere”. Aki Kaurismaki con tocco taumaturgico ha compiuto la sua grazia.

3 commenti

  • Molto interessante il tuo blog, titolo fantastico! grazie per la tua visita nel mio blog, iscriviti come follower. Ciao, a presto!

  • ho visto oggi 15 gennaio il decantato film miracolo a le havre,è stata una delusione mostruosa e questa delusione deriva principalmente dall’aver letto prima delle critiche entusiastiche,ora le cose sono due: o io e altri con me non capiamo un tubo di arte cinematografica ,oppure qualcuno dei critici ciurla nel manico .
    il film è una modesta storia buonista all’eccesso, con una recitazione e una scenografia triste e mediocre ,se si è voluto prendere in giro la francia descrivendo al contrario la realtà non credo che questo sia il modo migliore di rappresentare le problematiche sociali .Quanto a proporlo per l’oscar credo sia un oltraggio e una forzatura assurda come assurdo è stato questo film.Amedeo Schiavoni

    • …affrontare le problematiche sociali…è perchè usi termini come questi che probabilmente il film non ti viene incontro; al di là di analisi tecnico stilistiche, oppure di tipo sociologico che comunque non ho la competenza di fare, posso dire che è un film che viene incontro particolarmente a chi ha un animo bohemiennes, (e anche da semplice, da bambino…non sono casuali i brevi cenni al discorso della montagna) magari, a chi una vita così fatta la vive e si sente da sempre irrimediabilmente estranea ai termini che tu usi come criterio di giudizio. Lo stile è “da poveri di spirito” e secondo me è davvero ben riuscito.

      “Miracolo a Le Have” è un incanto . Ciao! Paola

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