Suburra – La serie: recensione della prima stagione

kittesencula poster Suburra La serie“Kittesencula” recita sobrio il poster nella “cameretta” di Aureliano (Alessandro Borghi). Un neologismo (oddio non esageriamo!) che inquadra bene la condizione di partenza di Suburra – La serie, la quale sa di arrivare fuori tempo massimo, in sbracato ritardo sul banco delle series italiane che spaccano, quindi di sedersi al tavolo da gioco quando i migliori giocatori, gli assi e il grosso del cash sono già passati (di mano). Ma da un certo punto di vista, meglio così. Anzi Suburra – La serie di tutto ciò se ne frega, e fa bene, e questo sorta di menefreghismo alla faccia delle ‘altre’ series italiane è una spilla d’onore sul petto.

Suburra – La serie non è Romanzo Criminale, non è Gomorra, non è neppure 1992-1993. E soprattutto, a differenza delle suddette, non è prodotta da Sky, bensì è una serie originale Netflix. Un bel salto nel vuoto, dunque, per Netflix, produrre la sua prima serie televisiva italiana quando si sa di arrivare tardi alla festa. Ma scendere in pista quando tutti stanno già ballando (o hanno già smesso), può avere i suoi pregi.

Lo dico subito: a Suburra – La serie non avrei dato un euro, ho visto i primi due episodi per sport, a tempo perso, e mi è parsa un serie da quattro soldi. I primi due episodi pilot non brillano e non fanno presa. Errore, dunque, o sfida allo spettatore? Difficile rispondere. Ma se gli si dà una possibilità, oltre gli scetticismi iniziali, lascia positivamente stupiti (vi dico solo che già gli episodi 3 e 4 non sono niente male).

Ave Sollima, potremmo dire. La series, infatti, ruba location e molti personaggi dal film del 2015. Stessa spiaggia di Ostia per gli Adami, stessa casa pacchiana per gli zingari Anacleti, stesso bar alla stazione di rifornimento per Samurai. E mantiene anche alcuni attori cardine, come Alessandro Borghi, Adamo Dionisi, Giacomo Ferrara (alias Spadino, che nel film moriva quasi subito).

Conoscendo i propri talloni d’Achille, Suburra – La serie sa anche dove farsi forza e farsi forte. In primis, funziona l’espediente che tiene in piedi la nostra attenzione: “il giorno prima” recita dopo una manciata di minuti ogni episodio. Della serie “e fu sera e fu mattina”. È l’idea più vecchia del mondo: catturare chi guarda trascinandolo in un lungo flashback, riavvolgendo il nastro su ciò che è già accaduto e vogliamo scoprire. Sì, Suburra – La serie gioca facile e gioca sporco su questo, ma sa giocarci bene. E il fine giustifica i mezzi perché questo “trucchetto” è micidiale!

Ogni episodio ha un bel colpo di scena (spesso un morto più o meno importante) che infittisce e complica le relazioni dei personaggi, in particolare quelle dei tre principali: Aureliano (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini), tre giovani rampanti che all’apparenza non hanno nulla da spartire e che invece affondano nella stessa fanghiglia. Suburra – La serie non è quindi solo su Mafia Capitale, gli impicci della Chiesa e del Campidoglio, ecc. Lavora drammaturgicamente anche sui temi dell’amicizia, della fedeltà, della differenza essere-apparire, sull’autoaffermazione oltre gli ordini altrui, sullo scontro con i (tanto amati o tanto odiati) padri (di famiglia). Per ogni problema c’è una soluzione, che passa attraverso il ricatto, la minaccia, la corruzione. E avanti così, Suburra – La serie ci porta via con sé.

Ci riesce anche grazie all’omogeneità registica dei dieci episodi di questa prima stagione (e il finale lascia aperti molti spunti possibili per il proseguo). Dirette da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, le puntate paiono dirette all’unisono, cosa che non accadeva in Gomorra (dove ad esempio la mano femminile di Francesca Comencini si faceva sentire). Da sottolineare, inoltre, come Suburra, proprio come Gomorra, sia riuscita a trovare il proprio personale tema musicale (forse meno intrigante, ma più poetico), opera del canadese Loscil.

Guardando al cast artistico, fenomenale Claudia Gerini nel ruolo chiave della donna revisore dei conti del Vaticano, ma anche e soprattutto Francesco Acquaroli nei panni del “burattinaio di Roma” Samurai, ispirato a Massimo Carminati. Acquaroli si conferma uno dei migliori caratteristi del cinema italiano e interpreta il personaggio molto meglio di quanto facesse Claudio Amendola nel film di Sollima. Menzione speciale a Barbara Chichiarelli nel ruolo assolutamente non facile di Livia.

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4 commenti

  • Bene per l’artciolo, ma diversamente dalla tua posizione sul film, qui non sono d’accordo praticmaente su nulla! XD Per me la seria è di grande qualità, più sicuramente di 1992 e ancora di più 1993 (che noia…). D’accordo sul buon funzionamento del meccanismo “il giorno prima”. Sugli attori, Claudia Gerini non mi è piaciuto punto (per non dire altro), soprattuto all’inizio, poi forse un po’ meglio quando è stressata ma insomma. Il marito ancora meno (tranne quando si confronta con Gabriele), e il Samurai bravissimo, ma ho sentito la mancanza di Amendola, che è molto più ambiguo e inquietante di Acquaroli. Anyways, opinioni!

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