Stranger Things: recensione prima stagione e perché non vedrò la seconda
“Non mi rendo veramente bene conto della portata di tutto questo successo” ha affermato Natalia Dyer, la caruccia e coraggiosa Nancy, intervistata al Lucca Comics & Games di quest’anno. La stessa attrice, cioè, fa fatica a capacitarsi di cotanto rumore (per nulla) per la serie Netflix che l’ha vista tra i suoi assoluti protagonisti.
Io sono come Natalia Dyer. Proprio non capisco perché questa series sia piaciuta così tanto a tanti. Va bene, lo so, sono un bastian contrario, e so che questo post attirerà poche simpatie e parecchie sassaiole, ma a me Stranger Things non ha particolarmente emozionato. Temo che la gran voglia di vintage che sta gonfiando negli ultimi anni abbia in generale avuto la meglio sulla capacità di giudicare con (un minimo di) oggettività una serie che, almeno per la prima stagione, ha poco di originale su svariati fronti.
Detto questo, il vintage a me piace, ma deve essere fatto bene (vedete Super 8 di J.J.Abrams e poi ne riparliamo!). Ho amato i Goonies, Stand by Me, Indiana Jones, Poltergeist e altri capisaldi del cinema anni Ottanta, ma l’arte del remake, anzi del revival, è cosa assai ardua da realizzare e non bastano la vecchia stravecchia storiellina della bambina telecinetica degli americani contro i russi e un manipolo di ragazzini bici in spalla alla E.T. per farci “rivivere” (se mai si potesse!) quegli anni favolosi.
Il Sottosopra, il mondo parallelo che è accanto a noi ma non vediamo, l’Area 51 di turno, ecc. sono idee ormai passate e superate, che si possono sì riproporre, ma ci vuole un pizzico di ibridazione che in Stranger Things rimane assolutamente non pervenuta. Stranger Things vuole essere più una fotografia che un quadro, la “mano” del cinema non dipinge ma si limita a riproporre una vecchia fotografia.
Insomma, Stranger Things ha ben poco di strano e di attraente. È una dichiarazione d’amore ai classici degli anni ‘80 sul soprannaturale, ma oggi, nel 2017, dovrebbe avere la forza di farci fare l’amore con quel decennio di cui siamo così orfani e nostalgici. Altro che letterine (d’amore) appese al muro con le lucine natalizie colorate…
Ottimo pezzo !!!
Esagerata! 😉
Pensa che a me Super 8 non era piaciuto affatto, troppo freddo e “appositamente” anni ’80. Perlomeno Stranger Things ha un cuore e personaggi ai quali ci si possa affezionare, non solo citazionismo gratuito 🙂
Io purtroppo devo dire che non sono riuscito ad entrare in empatia coi personaggi, anche se devo dire che quello di Mike Wheeler ha il suo perchè!
È una dichiarazione d’amore ai classici degli anni ‘80 sul soprannaturale come dici tu.
Io che gli ho vissuti, beh mi basta ciò.
punto a capo.
Ciao Cristiano, grazie del tuo commento.
La tua posizione è ineccepibile, anche se io mi aspettavo qualcosa di più da una serie tv che ha avuto un successo, personalmente, assai clamoroso.
Grazie a te per la risposta .
Io credo che sarebbe interesante fare un articolo su qual è o quali sono gli ingredienti che fanno divenire una serie con un’idea interessante una serie cult.
Prendiamo Breaking bad o Sons of Anarchy ad esempio.
Cosa li fa deventare serie cult? L’idea di base? La fotografia? Gli interpreti? oppure
gli spettatori? cosa scatta in loro?
E’ una bella idea, sono delle belle domande. Io purtroppo non sono così navigato nelle serie tv, quindi non sono la persona adatta a cimentarsi in ciò. Però sarebbe un bello studio da fare…