Son of Babylon: nel nome del padre

Son-of-Babylon“Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera”. Così inizia una nota canzone di Francesco Guccini, perfetta nell’inquadrare una delle scene cardine di Son of Babylon di Mohammed Al-Daradji. Il piccolo Ahmed, appena 12 anni, trascina per mano sua nonna verso un pullman che conduce a Nassiriya, tappa di un viaggio della speranza alla ricerca, per Ahmed, di un padre mai conosciuto e, per l’anziana donna, di un figlio scomparso durante la guerra che nel 2003 ha portato alla caduta di Saddam Hussein in Iraq. Una lunga odissea via terra dal nord al sud del Paese, che costringerà il 12enne a diventare adulto prima del tempo.

Presentato in anteprima italiana a conclusione del “Film Middle East Now “ 2011 di Firenze, Son of Babylon, candidato iracheno agli Oscar, ha girato decine di festival internazionali, vincendo il Gran Premio della Giuria al Sundance e il Peace Film Award a Berlino.

Un film straordinario, che spinge più volte le nostre lacrime al limite della palpebra. Un’opera di vento e sabbia, polvere e sudore, speranza e morte, vita e umano disincanto. Mohammed Al-Daradji tiene in pugno una storia semplice che è la storia di tutte le storie: la ricerca disperata delle persone che amiamo. Una storia particolare dal valore universale, con un forte messaggio di pace che passa attraverso cadaveri scheletrici, identità spazzate via dal conflitto armato come dall’impetuoso vento orientale. La vicenda di Ahmed e sua nonna è la stessa vissuta da centinaia e centinaia di donne e famiglie in un territorio iracheno da ricostruire.

Pochi attori, non professionisti, che come accadeva nel Neorealismo italiano, sono molto più genuini ed espressivi di chi è attore di mestiere. Questo perché esprimono davanti alla mdp il loro vissuto, il vero dolore di chi la guerra l’ha provata sulla sua pelle, vista coi suoi occhi, patita nel suo cuore. Un film di contenuto, di volti, occhi, sorrisi e pianti strappati alla vita.

Un’opera che come un piccolo grande rosario alterna sequenze magistrali e momenti di intenso lirismo. Difficilmente possiamo ricordarli tutti. Ne cito solo due: la nonna che racconta on the road (sugli affollati sedili di uno scalcinato pulmino) la storia biblica di Abramo e Isacco come fosse una fiaba; l’anziana che cambia gli abiti al ragazzo e gli lava la faccia per entrare pulito ed “elegante” in un diroccato e deserto carcere in cui il piccolo spera di trovare il padre.

Un film da far vedere nelle scuole, che ci auguriamo possa trovare presto distribuzione in Italia e ottenere il successo che merita. Prima di questo Al-Daradji (classe 1978, laureato in Belle Arti a Baghdad e specializzatosi in cinematografia a Londra) ha girato Ahlaam (2006) e il documentario War, love, God and Madness. Ora sta lavorando ad un nuovo film incentrato sulla figura di una donna kamikaze. Un regista da monitorare, destinato a girare ancora grandi pellicole.

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