Somewhere di Sofia Coppola: padre e figlia in cerca di sé – recensione
Recensione di Somewhere di Sofia Coppola.
Un piccolo rosario di contenuti e stile. Gli uni giustapposti all’altro. Questo è Somewhere, Leone d’oro alla 67esima Mostra del cinema di Venezia. Una pellicola volutamente asciutta, tecnicamente senza fronzoli o tocchi barocchi (rari primi o primissimi piani, quasi nessun dettaglio). La regia acqua e sapone, volutamente distaccata (a molti so che sembrerà anonima e insipida), asettica di Sofia Coppola descrive bene quell’aura di paradossale noia e solitudine in cui si snoda la vita di un divo hollywoodiano. Johnny Bravo, il protagonista, si trascina tra drink e gemelline bionde che praticano la lap dance da camera (con tanto di pali smontabili e ripiegabili), tra inaspettate e sconosciute donne in topless nel letto e fugaci avventure d’amore (o di sesso?), tra qualche impegno di lavoro sistematicamente dimenticato e lunghi momenti di standby. E’ un piccolo eroe fallito, che genera nello spettatore pietà e tenerezza allo stesso tempo. Sofia Coppola ci catapulta qui, in medias res. Non sappiamo perché sia ridotto così, perché la moglie sia lontana e soprattutto perché non veda mai la figlia, quella figlia che arriva con la leggerezza di una pattinatrice sul ghiaccio e stravolge tutto. Un plot che, lo devo ammettere, letto così, non ha nulla di speciale. Ma la giovane regista lo farcisce con personalità di uno stile, a tratti poetico e a tratti grottesco, che fa della carenza (o forse è meglio dire della privazione) la sua forza, la sua scelta forte. Alcune trovate della sceneggiatura sono così brillanti da suscitare un sincero sorriso d’ammirazione.
Recensioni di film passati al Festival di Venezia
Convincente, ma non difficile in fin dei conti, la prova di Stephen Dorff, il quale certamente deve alla Coppola (e al suo film) una notorietà mai raggiunta in passato. Sguardo spento, sornione, da eterno ragazzo, un fascino che vagamente ricorda il Kevin Costner dei tempi d’oro. Efficace anche la performance di Elle Fanning, sorella di Dakota (La guerra dei mondi), genuina, pungente, tenera.
Unico nèo che possiamo individuare in Somewhere è il finale. Non è un errore da poco, me ne rendo ben conto. Però non va a bacare l’intero buon frutto che è il film. La regista di Bling Ring e L’inganno sembra non sapere come chiudere la sua storia di formazione, cade come in una crisi d’ispirazione. Punta così sulla circolarità, richiamandosi alla scena iniziale. E Johnny Bravo accosta, scende di macchina e se ne va incontro al sole e al deserto. Su una nuova strada della sua vita. Dove non sappiamo. Certamente somewhere, “da qualche parte”.