Sanctorum di Joshua Gil: la recensione
Recensione di Sanctorum di Joshua Gil.
In una piccola città in mezzo ai boschi vivono una madre e suo figlio Erwin. La loro quotidianità è sconvolta quando la cittadina diventa lo scenario dello scontro tra militari governativi e cartelli del narcotraffico. Mancando soldi e lavoro, la giovane madre, come altri contadini, è costretta a sbarcare il lunario coltivando marijuana per i cartelli della droga. Un giorno, però, scompare nel nulla. La nonna allora manda Erwin nel bosco per pregare gli elementi della natura (il sole, l’acqua e il vento) di restituire loro la donna. Le invocazioni del bimbo provocheranno la potente risposta della natura: un’apocalisse atta a punire l’umanità corrotta che non l’ha rispettata e che si è accanita sui più deboli.
Joshua Gil è un regista a metà strada tra realtà e finzione. Nelle sue opere cerca sempre di filmare l’invisibile, creando ibridi tra il documentario e altri generi cinematografici, per proporre nuove storie attraverso forme diverse. Nel caso di Sanctorum, la più chiara di queste mescolanze, osserva attentamente e realisticamente la vita dei campesinos messicani, ma modifica la struttura documentaristica innestandovi il genere fantasy. Come denuncia il titolo fortemente simbolico, Sanctorum è un film allucinato, dove alla tangibile realtà si unisce il lato mistico, anzi metafisico, legato ai poteri di una vendicativa natura che si schiera dalla parte dei più deboli.
Il regista racconta un Messico dove ovunque dilagano violenza e povertà, soprattutto tra gli agricoltori costretti a subire un fuoco incrociato di vessazioni: da un lato, quelle dei narcos che li costringono a coltivare marijuana, dall’altro, quelle del governo che li criminalizza per la loro agricoltura di sussistenza illegale.
In Sanctorum è chiaro l’amore che Gil nutre per il suo Paese, come anche la sofferenza che prova nel vederlo ridotto così male: mentre prima il Messico era un santuario dove ovunque si poteva pregare per se stessi e per i propri cari, adesso è un luogo di paura dove si è persa la speranza verso un futuro migliore. A livello narrativo, Gil parte dalla piaga sociale delle sparizioni, assumendo il punto di vista di chi sta in mezzo alla lotta, ossia i più deboli. Egli vuole il loro riscatto e lascia che a compierlo sia la natura sollecitata dai lamenti di un bambino che rappresenta quel che eravamo e ciò che dovremmo tornare a essere per non votarci definitivamente all’autodistruzione.
Sanctorum, quindi, attraverso i suoi personaggi, riunisce vita e morte in maniera fantastica e poetica, approcciando metafisicamente concetti quotidiani e sovrapponendo la fine di tutto ad un nuovo inizio. L’incredibile fotografia di Mateo Guzman e il poderoso lavoro al sonoro di Sergio Diaz rendono perfettamente il mistero che permea tutta la pellicola, accrescendo l’aspettativa e la consapevolezza della punizione divina verso un’umanità ingiusta e irrispettosa.