Post Mortem: Allende all’obitorio di Pablo Larrain – recensione film

Recensione di Post Mortem, film di Pablo Larrain con Alfredo Castro.

Post Mortem film1973, Santiago del Cile. Mario lavora all’obitorio come battitore a macchina dei referti delle autopsie e la sua vita apatica cambia solo quando incontra Nancy, ballerina di famiglia comunista che abita di fronte a casa sua. Ma l’11 settembre la Storia è scossa dal golpe di Pinochet, che spazza via la ventata di vita della Unidad Popular. Sul tavolo dell’obitorio arriva un cadavere eccellente ed inaspettato: quello di Salvador Allende. E le stanze degli ospedali straboccano di cadaveri di civili. Il padre e il fratello di Nancy vengono arrestati e Mario si lancia alla disperata ricerca della sua amata.

Dopo aver quasi sbancato il Torino Film Festival 2008 con Tony Manero, Pablo Larrain arriva alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia con Post mortem, ma rimane a bocca asciutta. Memore però del successo ottenuto col leggendario ballerino di Saturday Night Fever, si avvale dello stesso attore protagonista, uno spettrale e algido Alfredo Castro, esile ma forte pilastro dell’intera pellicola. Ma identici rimangono pure l’ambientazione (Santiago del Cile, sua città natale) e l’arco di tempo (gli anni ’70). Come a dire: squadra che vince non si cambia. E non cambia neppure la maestria dietro la macchina da presa del 34enne regista sudamericano.

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Tra floreali carte da parati ed interni evanescenti, atmosfere grigie e pesanti, Larrain dimostra di avere un’indiscussa personalità, un suo stile, una sua poetica. Post mortem trasmette angoscia pura e ammalia raccontando una storia certamente originale, così come lo era quella di Raul Peralta in Tony Manero. Scompare la vitalità di quest’ultimo, ma rimane di fondo lo stesso senso di disagio, del protagonista e del pubblico. Il risultato è una sinfonia del silenzio, un silenzio premeditato, scelto, voluto. Un mutismo generale accompagnato da ellissi narrative che ci lasciano per lunghi istanti in un limbo di straniamento e disorientamento. Un silenzio che viene spezzato da alcune sequenze di straodinaria intensità, che valgono il prezzo del biglietto. Tra queste il finale in un lungo piano sequenza a macchina fissa, la struggente e singhiozzante autopsia sul corpo di Allende e lo sfogo urlato e disperato dell’infermiera di fronte ad un ospedale così pieno di cadaveri che i vivi non sanno dove mettere i piedi per camminare.

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Insomma, momenti semi-soporiferi e momenti di straordinaria intensità si alternano in un’opera che, nel bene o nel male, non lascia indifferenti. Un’opera che ribadisce con forza l’avvento di quel nuovo grande regista che si nasconde dietro al nome di Pablo Larrain.

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