Planetarium, Rebecca degli spiriti (del cinema)

planetarium filmDi certo non si può dire che la giovanissima Rebecca Zlotowski, classe 1980, non abbia della personalità dietro la macchina da presa. La sua regia ha del carattere, è quasi definita psicologicamente, i movimenti di macchina, relazionati ad una buona direzione degli attori, hanno sempre un perché. E anche qualcosa di misterioso, se non a tratti dell’ipnotico. Ma tutto ciò, purtroppo, ha il fiato corto, di chi, giovane, mette tutto il proprio entusiasmo nella prima mezz’ora, dimenticando che un film mediamente dura almeno tre volte tanto. Questo è quello che accade a Planetarium, in particolare alla sua sceneggiatura, che nell’estendersi e nel ramificarsi si spezza, fino a perdere la buona strada maestra del “primo tempo”.

Planetarium, dietro uno spunto iniziale che ha a che fare con lo spiritismo, è in realtà un film sul cinema, sull’ontologia e l’essenza del cinema. Settima arte ed evocazione di fantasmi sono assai più parenti di quanto di possa pensare. E Rebecca Zlotowski costruisce il suo film su questo parallelismo, che finisce per sovrapporre queste due strane forme di “allucinazione”. In Planetarium il concetto viene espresso a chiare lettere in quelle sequenze in cui il personaggio di Natalie Portman entra nel mondo del cinema, del set, di luci e ombre che ri-creano la realtà. Concetto poi ripetuto verso il finale dalla co-protagonista Lily-Rose Depp (figlia assai più brava del paparino Johnny Depp), secondo la quale le medium ci mettono in contatto non tanto coi morti, ma con quello che vorremmo (ma non possiamo) essere o incontrare. Ecco, il cinema, come il sogno, come gli spiriti, attraverso il “mezzo” del buio (della sala o degli occhi chiusi o dell’anima) ci permette di vivere un’illusione, una “allucinazione collettiva” afferma un personaggio. Ci permette di lasciarci completamente andare, esaudendo di fronte alle nostre pupille il desiderio di vedere ciò che più vogliamo. Il cinema, come afferma il personaggio interpretato da Pierre Salvadori, ci permette di vivere quelle emozioni e sensazioni che altrimenti nella vita reale non potremmo mai intercettare.

Questa è la grande riflessione, inizialmente sottotraccia, poi via sempre più palese, che Planetarium sviluppa. E ciò affascina. Ma allo stesso tempo il film si smarrisce aggiungendo altri contenuti (su tutti, stona la malattia – una leucemia? – della piccola medium) che confondono e annebbiano le acque. E la sceneggiatura finisce per frantumarsi per tutta la seconda parte, cercando di voler coprire troppi sviluppi temporali e troppe sotto-linee narrative. Ellissi, tagli, passaggi non chiari. Planetarium sbanda, esce fuori strada, e lo spettatore ne risente da un lato dimenticando l’appeal della prima parte, dall’altro abbandonandosi ad una certa noia che sfiora la sonnolenza pura. La Zlotowski, insomma, osa troppo, e lo stile si perde dietro ad un plot troppo (e inutilmente) articolato.

Assolutamente buona, invece, la prova delle due interpreti principali. Natalie Portman, pur eccedendo in qualche manierismo, conferma di saper bucare lo schermo soprattutto con gli sguardi in macchina. Una tigre che graffia e seduce anche lo spettatore più distratto. Lily-Rose Depp sa il fatto suo. Ricorda un po’ Dakota e un po’ Elle Fanning. Speriamo non si perda come loro.

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