Padrenostro di Claudio Noce: recensione
Recensione di Padrenostro di Claudio Noce.
Come sono i padri negli occhi e nei ricordi, reali o fittizi, dei propri figli? Valerio guarda a suo papà Alfonso come a un dio, come alla stella polare, come ad una figura mitica da amare, venerare, non scalfire col peso del tempo che cambia i contorni delle cose. Padrenostro di Claudio Noce, premiato al Festival di Venezia 2020 con la Coppa Volpi a Pierfrancesco Favino (più un premio alla sua sfolgorante prima parte di carriera che alla performance nel film in questione), si concentra sul rapporto padre-figlio, su come il primo appare agli occhi (trasognanti) del secondo, verso lidi che conducono ad un altrove immaginifico che esula della realtà.
Padrenostro è un film pieno di difetti, ma spulciando bene tra questi si riescono a trovare dei punti a favore di Claudio Noce, che porta sul grande schermo una pagina orribile della sua infanzia: suo padre, infatti, noto vicequestore, fu vittima nel 1976 di un attentato per mano dei Nuclei Armati Proletari.
Sovrabbondante di ralenti e primissimi piani che non trovano vere giustificazioni a livello narrativo, nonché di lungaggini nella seconda parte che fanno un po’ terra bruciata di alcune buone cose seminate nella prima, Padrenostro ha però senza dubbio una sequenza che sa farsi ricordare: quella dell’attentato in strada al padre protagonista sulle note di Buonanotte fiorellino di Francesco De Gregori. Contrappunto audio-video non nuovo nel cinema italiano contemporaneo, che però qui sa catturarci con rara intensità. Al netto di questo, che non può mettere a tacere le tante sbavature di un film ben lontano dal definirsi riuscito, Padrenostro ha nei suoi limiti, paradossalmente, anche i suoi punti di originalità e personalità. Claudio Noce ha un carattere registico che vuole mostrare a tutti i costi e che appare con forza in vari passaggi. Ma lo canalizza male, virando verso eccessi che colmano la misura della sopportazione dello spettatore. Eppure, i punti deboli, se astratti dal contesto, presi quindi singolarmente, sono dei punti di forza, che serbano in sé i (buoni) semi di un quid dietro la macchina da presa che già si era fatto notare nei quattro episodi da lui diretti nella serie tv 1994.
Padrenostro è quindi un film discontinuo, altalenante, di luci e ombre, che però merita di essere visto con gli occhi della mente e con quelli del cuore, in modo da poter scindere cosa c’è di buono e di meno buono, rifuggendo un’abitudine troppo diffusa nella critica italiana, quando ci si approccia al cinema nostrano, di fare di tutt’erba un fascio e buttare alle ortiche anche il grano buono, o che almeno può dare, in previsione, buoni frutti.