One night in Miami: il black power in una stanza
Recensione di One night in Miami.
Metti una sera a Miami Muhammad Alì, Malcolm X, Sam Cooke e Jim Brown. Quattro pesi massimi della comunità afroamericana che negli anni Sessanta si è battuta strenuamente per il riconoscimento dei loro diritti, per l’uguaglianza, per un mondo migliore. Sport, politica, mondo dello spettacolo e della musica. Quattro settori della società uniti nella stessa battaglia.
In One night in Miami Regina King immagina una sera in cui i quattro si ritrovano per confrontarsi sul futuro del “black power” in una società statunitense alquanto discriminatoria. E non sceglie una notte a caso, bensì quella del 25 febbraio 1964: Cassius Clay è appena diventato campione del mondo dei pesi massimi e il giorno dopo si converte alla fede islamica cambiando il suo nome in Muhammad Alì. Malcolm X sente la paura di subire attentati e vuole “discepoli” fidati per portare avanti la causa degli afroamericani. Quasi un anno dopo, il 21 febbraio 1965 verrà assassinato durante un discorso pubblico ad Harlem, come ci ricorda la didascalia che chiude il film.
One night in Miami è un film coraggioso, e non solo per il tema trattato. Anche per come descrive i quattro protagonisti, per la scelta di affidarsi ad una forte verbosità e per essere girato quasi interamente tra le quattro strette mura di una piccola camera d’albergo. Non a caso, il film è l’adattamento dell’omonima pièce teatrale scritta da Kemp Powers.
One night in Miami sa coinvolgerci anche grazie all’ottima prova dei quattro interpreti principali. Certo, bisogna accettare di lasciarsi trasportare dal fiume di parole, pensieri ed emozioni che i quattro tirano fuori, ma il risultato è assolutamente riuscito.