Near death experience: memorie suicide
Come è difficile vivere. Come è difficile morire. Anzi suicidarsi. C’è sempre qualche ostacolo o pensiero che si frappone all’agire. Near death experience di Benoit Delepine e Gustave Kervern ci pone faccia a faccia con i pensieri di Paul, impiegato di una azienda telefonica pronta a chiudere i battenti, il quale decide di sfruttare un funesto venerdì 13 per suicidarsi. Ma il passaggio all’azione non è immediato come crede. La fuga su una montagna, dove porrà fine alla sua vita, si trasforma in una sorta di ritiro eremitico in cui un turbinio di pensieri ostacolerà più volte il suo gesto estremo.
Dopo Louise-Michel e Mammuth, i due registi francesi realizzano un film che di comico e assurdo ha ben poco. Near death experience è tristemente reale. Come ad una seduta psicanalitica aperta al pubblico, Paul c’invita a partecipare ai frutti partoriti dalla sua mente e immaginazione.
Il centro del film è il pensiero che si fa parola tramite una costante voce fuoricampo, mentre la fissità delle inquadrature è funzionale a ricalcare il ronzante immobilismo mentale del protagonista.
Near death experience è in un certo senso un film per masochisti, per chi volontariamente ha desiderio di imbattersi in riflessioni sul perché valga la pena vivere o morire. Un film che, parlando della morte, di rovescio parla anche della vita, spingendo ciascuno di noi a pensarci su privi della mediazione del racconto del classico film di fiction.