Mektoub, My Love: Canto Uno. Il capolavoro di Kechiche

Recensione del film Mektoub, My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche.

Kechiche, my love.
Diciamolo subito, senza tanti giri di parole: Mektoub, My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche è un capolavoro. Senza se e senza ma. Può non piacere, ma è un film indimenticabile, che rimane a lungo dentro lo spettatore, che riempie gli occhi e il cuore di un cinema oltre il cinema. Mektoub, My Love: Canto Uno è un’esperienza cinematografica più unica che rara, pregna della forza che solo il grande cinema d’autore (penso a Malick o Kubrick) porta in seno e regala nella luce del proiettore, quella luce che apre il film con le due citazioni dal Vangelo di Giovanni e dal Corano.

Superiore al già meraviglioso e memorabile La vita di Adele, Mektoub, My Love: Canto Uno trascina via con sé come un’esondazione, con una sovrabbondanza visiva che si fa extra-diegetica, che scavalca, travalica e trascende il grande schermo. Il nuovo film del regista franco-tunisino è un fiume in piena, un flusso di coscienza vitale a servizio di un romanzo di formazione che ci astrae dalla realtà della sala per portarci nel cuore più profondo della vita.

Mektoub, My Love: Canto Uno riesce dove in pochi osano: riunire nel protagonista Amin le figure del regista e dello spettatore. Con una componente autobiografica molto forte, Amin è l’alter ego di Kechiche e di ciascuno di noi che guardiamo, del voyeur “guardare ma non toccare”, proprio come accade ad ogni spettatore di fronte al grande schermo. Un voyeur in scena, allo scoperto, che non ha più bisogno né il desiderio di guardare dal buco della serratura, ma in faccia, pari a pari, il panta rei vitale.

Mektoub, My Love: Canto Uno è un inno alla vita, alla gioventù, all’amore, al divertimento, al destino (mektoub) che, invisibile e onnipresente, tira le fila degli uomini a loro insaputa. Corpi, volti, mani, cosce, brandelli di pelle, brividi, lacrime, sorrisi. Come un torrente in piena di primi e primissimi piani, Kechiche ci spinge nella mischia, nel marasma e nel chiacchiericcio continuo dei suoi personaggi fino a trasformare anche noi in personaggi del film. Uno scroscio di dettagli e piani strettissimi che si allentano solo nel finale in quel pressoché unico campo lungo del film, su una spiaggia di serenità che avvia all’orizzonte, al futuro per Amin e per i successivi capitoli di una trilogia annunciata (Kechiche ha affermato di aver già girato il secondo ‘canto’ e di essere in procinto di girare il terzo).

Lascia senza parole il poetico e commovente inserimento del parto vero di una pecora, che mette al mondo due agnellini nel silenzio di una fotografia scattata in penombra. Gli animali e gli uomini, così lontani e così vicini, così simili e così diversi. Gli uomini, chiassosi, fanfaroni, farfalloni, sempre in cerca del flirt, si contrappongono agli animali, che lontano dal mondo perpetuano la vita senza fare rumore né chiacchiere inutili.

Insomma, Mektoub, My Love: Canto Uno è un film enorme, di quelli che ti abbracciano senza chiedere il permesso, che ti fanno bere e ballare anche se tu non vuoi, che tramite il cinema rendono la vita vera più del vera.

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