Mean Dreams di Nathan Morlando: la recensione
Sogni di vita, di riscatto, di ricchezza. Da diversi punti di vista, in fin dei conti, sogni di felicità. Una felicità da conquistare e difendere a morsi, con i denti, e una fuga che profuma di unica via d’uscita e realizzazione. Sono i sogni, multiformi e in alcuni casi discutibili, che guidano i personaggi di Mean Dreams di Nathan Morlando, presentato alla Quinzaine del Festival di Cannes 2016.
Mean Dreams è un thriller dei sentimenti, che sottendono ai sogni. Un thriller che contrappone i figli ai padri, i singoli alla famiglia e alla società. Tra questi ristretti paletti si muove il film di Morlando. Ma da questi paletti non riesce a (s)fuggire, impigliato nei pochi e psicologicamente incerti personaggi che vi si aggirano dentro. Mean Dreams non decolla mai davvero, cercando di compensare i suoi vuoti e le sue vertigini con l’uso invasivo e gracchiante di una colonna sonora che fa peggio che meglio.
Un film che non sbatte mai la coda, che non salta mai il fosso, che riesce a intrattenere ma lasciando nulla di nulla a chi guarda. Ecco, un film che non esiterei a definire come trascurabile, privo di quel minimo tratto di originalità che possa colpire uno spettatore esigente. Insomma, uno di quei film che si fa vedere, però non bucando mai lo schermo. E questo, a ben vedere, è un peccato grave per un thriller che come tale si propone e definisce.
Mean Dreams rimane della stessa sostanza dei sogni del titolo. Sogni mediocri, miseri, piccini, anche tirchi. Così sono i sogni dei giovani protagonisti, Casey e Jonas, come quelli del villain di turno, il padre padrone Wayne Caraway (interpretato da un buon Bill Paxton che però non riesce a salvare la baracca). Ebbene sì, Mean Dreams rimane anch’esso incagliato in un certo e diffuso mood vile, miserabile, spilorcio, tipico di chi vorrebbe essere migliore ma, privo di colonna vertebrale, non riesce a gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Tutta questa epopea di paroloni sembrava più per raggiungere la 500 parole da scrivere per pubblicare una recensione.
Comunque, dal mio modesto parere, ho trovato il film ben riuscito e veritierio, perché forse in giro non si sa, ma esistono persone che vivono situazioni famigliari del genere e che se potessero vorrebbero uscirne e liberarsi da quella specie di prigione, Sono questi i “mean dreams”, che tormentano; quando fuggire è piu facile a dirsi che a farsi.
Caro Sid, è solo questione di punti di vista. Ti ringrazio per il tuo commento!