Marx può aspettare: la confessione di Marco Bellocchio

Recensione di Marx può aspettare di Marco Bellocchio.

Nessun regista, almeno nel cinema italiano, ha la libertà e la franchezza espressiva di Marco Bellocchio. Battitore libero e provocatorio sin dal suo esordio, I pugni in tasca, nel 1965. Una voce fuori dal coro, pericolosa, e per questo viva, emancipata, a suo modo anarchica. E all’età di 82 anni Bellocchio ha il coraggio di portare sul grande schermo il dolore e i silenzi lunghi una vita intorno al fratello gemello, Camillo, morto suicida. Marx può aspettare è un documentario che colpisce nel segno, che coinvolge e abbaglia per la fredda schiettezza con cui un’intera famiglia, e in un certo senso un intero paese, Bobbio, monta sul patibolo del cinema per confessarsi, una volta per tutte, anzi una volta sola.

Marx può aspettare è un documentario studiato nei dialoghi, nei vuoti, nei non detti, ma anche nelle parole e nelle conversazioni a cui assistiamo. Tutto è scritto a tavolino, ma non per questo è meno sincero di una ripresa in strada. E ciò che stupisce è che l’imperturbabilità, quasi l’indifferenza, di chi parla, riesce a veicolare un’emozione sentita, pentita, vibrante. La famiglia Bellocchio pare aver rimosso il lutto, pare aver dimenticato quel buon ragazzaccio di Camillo. Un evento troppo doloroso, che pare archiviato, mentre invece scorre sotteso come il fiume Trebbia sotto al Ponte Gobbo che lambisce Bobbio. Il racconto è quasi asettico, insensibile, glaciale, eppure l’emozione ribolle sotto la superficie, viene fuori, e inonda anche lo spettatore abbattendo la “quarta parete” dello schermo.

Ancora più interessante è notare come tutta la filmografia di Marco Bellocchio in qualche modo non sia altro che un transfert di una biografia familiare dove il sentire di uno è il sentire di tutti, e viceversa. Non a caso Bellocchio inframezza il suo “lessico familiare” con brani dei suoi film, come a voler sottolineare questo legame, che è come una catena indistruttibile. E ha nuovamente il coraggio di mostrarci, senza censura, la doppia bestemmia presente in L’ora di religione, ammutolita ai tempi dell’uscita in sala nel 2002. Così come la colonna sonora riprende musiche già udite nei suoi film precedenti, e tra queste spicca quella onirica e inquietante di Buongiorno, notte.

C’è chi dice che ogni autore, di film o di libri, racconti sempre la stessa storia, in particolare racconti sempre qualcosa di sé in ogni sua opera. Per Bellocchio è così. Il filo rosso che lega tutti i suoi film trova corollario, conferma e testamento in Marx può aspettare, che non è un documentario come un altro, ma spiegazione e icona della carriera di un regista più unico che raro.

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