Magari di Ginevra Elkann: recensione film
Recensione di Magari di Ginevra Elkann.
Sta tutto in quella parolina magica del titolo: magari. Dentro c’è una speranza, un desiderio, una voglia. C’è qualcosa che va al di là della realtà, delle cose come stanno, del qui ed ora. Quante volte lo diciamo in capo a una vita: “magari!”.
Il papà e la mamma, negli occhi di una bambina, sono sempre una coppia unita. Anche se si sono lasciati da tanti anni. Anche se non li ha mai visti insieme. Ma nella sua immaginazione, e nei suoi desideri, sono una cosa sola.
Magari di Ginevra Elkann è un esordio che fa della semplicità il suo grande punto di forza. C’è tanto calore umano nei personaggi e nelle situazioni quotidiane vissute e narrate. E c’è uno sguardo femminile sensibile e acuto, paragonabile a quello di Alice Rohrwacher.
Lo “schema” di fondo è quello tracciato in modo mirabile da Cristina Comencini con Il più bel giorno della mia vita. Tutto passa attraverso gli occhi di una bambina, Alma. Se per lei si attua un poetico e dolcissimo “romanzo di immaginazione”, nella vita vera si consuma e concretizza il romanzo di formazione dei suoi fratelli, in particolare del maggiore, Seb, che scopre la prima cotta amorosa rimanendo stregato proprio dalla nuova compagna del padre bello e donnaiolo.
Magari di Ginevra Elkann vive di piccoli grandi sogni, respiri, sospiri, corse, passi, occhi chiusi, occhi sgranati, insomma tutte quelle cose minuscole che ci passano sotto il naso ogni giorno e che quasi non notiamo più. Ed è proprio in questo, nel saperle ancora notare e soprattutto riportare davanti alla macchina da presa, che sta il fulgido pregio di questo film dal cuore denso e immenso.