Loveless: sulla Russia senza amore soffia vento da Oscar
Sì può vivere senza amore? Si può concepire e crescere un figlio senza amore? E questo vuoto del sentimento come reagisce quando entra in collisione col vuoto lasciato da un bambino scappato, scomparso, rapito o morto? Andrey Zvyagintsev è uno dei registi russi più apprezzati degli ultimi anni. Salito agli onori della critica e del grande pubblico nel 2003 con Il ritorno, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia di quell’anno, vi è poi tornato con prepotenza nel 2014 con il durissimo Leviathan, vincitore del Golden Globe come miglior film straniero e nominato all’Oscar nella stessa categoria. Stessa sorte pare attendere Loveless, candidato della Russia all’Oscar per il Miglior film Straniero 2018 e già vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2017.
Loveless non fa sconti. Zvyagintsev mette in scena il cinismo e la glacialità dei sentimenti tramite una sceneggiatura che marcia inesorabile verso la sua dolorosa e (in)conscia meta e una regia che osserva i personaggi e lo scorrere del tempo come se nei primi non scorresse sangue e nel secondo non scorresse vita.
Un bambino è la vittima sacrificale di un matrimonio fallito, anzi nato morto, il cui frutto non voluto è stato proprio quel bambino. Il dodicenne Alyosha rimane soffocato nel (tra)collo dell’atmosfera domestica dei due genitori, un uomo e una donna che non si sopportano più, ma che traggono aria nuova per non morire da due relazioni extra-coniugali che dicono e credono essere il vero amore. Ma per Alyosha non c’è nessun salvagente, nessuno spiraglio di ossigeno. Il piccolo si fa sempre più piccolo, insulso, insopportabile, invisibile ai loro occhi, tanto che un giorno scompare nel nulla. Ma ogni azione ha una conseguenza, anche se spesso non vogliamo accollarcene la responsabilità…
Loveless è un film che fa male, che corrode piano piano, come una malattia incorporea, subdola, che fa il suo sporco lavoro anche se nulla pare cambiare. Loveless macera lo spettatore più dei suoi personaggi, ma non lascia spazio allo strazio né alla commozione. Ci entra dentro, come il freddo nelle ossa, un po’ alla volta, fino quasi a farci abituare. Un fine crudele che ci scuote, che ci fa palpitare quel cuore che i due protagonisti hanno ormai trasformato in un sasso (sebbene lo credano ancora di carne).
Loveless, tramite l’indagine condotta dai volontari e dalla polizia, è un’analisi che allo stesso tempo punta al particolare e all’universale: l’universale siamo noi spettatori, ciascuno di noi che viene in qualche modo interrogato sul tema della “cura” degli altri; il particolare è la Russia che, come denunciano i telegiornali che più volte sentiamo nel film (citano il caso dell’Ucraina), su temi di politica interna/estera procede a testa bassa, tira dritto, come un vento freddo, che non si cura affatto di come dietro ai numeri (il piccolo Alyosha è solo uno di meno, ma uno di tanti) ci sono delle persone.