Louisiana (The Other Side) di Roberto Minervini: recensione

Recensione di Louisiana (The Other Side) di Roberto Minervini.

louisiana minerviniL’America. Anzi l’altro lato (o l’altra faccia?) dell’America.
Italiano trapiantato negli Usa, dopo la trilogia dedicata allo State in cui vive, il Texas, con il trittico The Passage, Low Tide, Stop the Pounding Heart, Roberto Minervini passa allo Stato accanto, la Louisiana, per consegnarci un bruciante spaccato sociale, antropologico e molto politico di quegli States che credono, a modo loro, nella libertà, e dove il sogno americano non ha mai trovato terreno fertile.

Louisiana (The Other Side) di Roberto Minervini, in acrobatico equilibrio sul fragile confine che separa documentario e fiction, è un film duro, che colpisce sotto la cinghia, mostrandoci la nudità di un angolo di Usa dimenticati da Dio e dalle istituzioni. Diviso nettamente in due, come due capitoli distinti, ma in realtà due facce della stessa medaglia (la quale, roteando su se stessa, potrebbe mostrarcene altre ancora), Louisiana ama ogni singolo personaggio che ci mostra. Personaggi che sono persone, sospese e affogate in una disperazione che si sforza di non perdere la dignità. Soprattutto la prima parte, quella incentrata sui tossicodipendenti Mark e Lisa, ci spinge in un inferno, quello della droga, visto come una via per (s)fuggire dalla palude dell’immobilismo e dell’abbandono, verso quel paradiso irreale e allucinato che, pur non per l’eternità, una siringa e una canna sanno dare. L’altro lato, cioè il secondo, del film, ci porta in un manipolo di reduci di guerra e giovani soldati da addestrare che si preparano militarmente alla rivoluzione contro un nemico-fantasma che potrebbe arrivare da un momento all’altro. Il risultato è un’America in direzione ostinata e contraria, che crede in una libertà “fai da te” genuina e integralista, da far volare alta come quello striscione, attaccato ad un aeroplano, con scritto “legalize freedom”.

Louisiana di Minervini è un film importante, un viaggio senza biglietto di ritorno in una realtà e in un cinema, quello documentaristico, che ha bisogno di film solidi e “puri” come questo. Ruvido come l’asfalto e dolce come un abbraccio, un film di desideri e sofferenze, ricordi e rimpianti, che con onestà ed empatia mette al centro il borderline di un pezzo d’America parte di un puzzle che i mezzi di comunicazione non mostrano.

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