La tenerezza di Gianni Amelio, affetti speciali e affinità elettive

“Dice un poeta arabo che la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa a cui tornare. Tornare, non andare. Non avanti quindi, ma dietro.”

la tenerezza di gianni amelioÈ grande cinema italiano La tenerezza di Gianni Amelio. Un film che avrebbe meritato la vetrina di un Festival di Cannes o di Venezia. Un regista, Amelio, che dopo l’inspiegabile e imbarazzante tonfo de L’intrepido (2013), e alcuni anni votati a film documentari, torna all’opera di fiction con la padronanza e l’intensità dei film che lo hanno reso celebre, come Il ladro di bambini (1992) e Le chiavi di casa (2004). Anche se il tocco asciutto di quei film qui cede il posto ad un accennato gusto romantico e romanzato, il quale però non stona.

La tenerezza di Gianni Amelio conferma lo sguardo intimo e intimista di un regista che come pochi sa guardare e mettere in scena i sentimenti. Amelio è uno scandaglio sull’anima, sulle sue certezze e i suoi passi falsi, in bilico tra il passato e il presente, sempre alla ricerca di uno spiraglio e un appiglio verso la felicità. Felicità, che parolone. E non a caso il film si ispira al romanzo La tentazione di essere felici di Lorenzo Maraone. Ma ad Amelio basta molto meno, chiede e ricerca molto meno: la tenerezza, che potremmo sciogliere più semplicemente nel bisogno di affetto che ciascuno di noi possiede e cerca di nutrire. “Penso che nella vita tutto quello che facciamo è una scusa per farci volere bene” afferma il personaggio di Fabio (Elio Germano). E chissà, forse, sotto sotto, è davvero così. La tenerezza di Gianni Amelio cerca di arrivare a quel sotto, cerca di scavare la superficie degli eventi, dei gesti, dei silenzi, delle parole dette e non dette. E ci fa riflettere sui nostri rapporti con gli altri. Quegli altri che sono persone come noi, con una storia personale che ha un certo peso specifico. Ecco, Amelio ha il grande pregio in fase di sceneggiatura, scritta a quattro mani con Alberto Taraglio, di mettere a fuoco il background di ciascun personaggio, tanto che i fili delle storie si esternano e s’intrecciano anche troppo (ma ben venga una volta tanto visto che spesso ci lamentiamo di pochezza di contenuti a livello narrativo).

Detto questo, un appunto a La tenerezza di Gianni Amelio va fatto, e riguarda come è stata tratteggiata la storia e l’inquietudine personale del personaggio interpretato da Elio Germano. Troppo poco abbozzata e troppo poco definita per essere il punto di rottura, che arriva come un colpo al cuore, della vicenda. Bastavano un paio di sequenze in più, anche due fuggevoli pennellate, per dare una base più solida al turning point di tutto il film.

La tenerezza rimane comunque un grande film, carico, toccante, per sua fortuna mai commovente né lacrimevole. Certo, qualche difettuccio qua e là c’è, qualche dialogo tirato un po’ per i capelli del melò pure, ma sanno diluirsi con le giuste dosi nel poetico amalgama che fa da collante a tutto il film.

Mastodontica la prova di Renato Carpentieri, forse addirittura una delle migliori della sua carriera. Molto bravi anche tutti gli altri: un Elio Germano angosciato e compresso dietro un accento nordico, una Micaela Ramazzotti dolce e impaurita, una Giovanna Mezzogiorno che dietro a quella sua voce un po’ mascolina sa essere donna e figlia con sotteso ardore.

Insomma, La tenerezza di Gianni Amelio, dietro un titolo fuorviante, arriva dritto allo spettatore come un infarto che riattiva e riabilita il cuore, come uno schiaffo che sveglia, come un colpo di pistola in una notte di pioggia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.