La nostra vita: l’Italia che soffre e lavora
Visceralmente italiano. Dietro un titolo oneroso e ingombrante, La nostra vita misura i battiti dell’Italia del nostro tempo. La sicurezza sul lavoro (nero), il rapporto con gli extracomunitari, la nascita di un nuovo proletariato, gli “impicci” dell’edilizia, la famiglia, la paternità e la cura dei figli. Senza (s)cadere nel film di denuncia e senza morali o ideologie morettiane/guzzantiane di fondo, Daniele Luchetti racconta tutto ciò con stile asciutto, andando oltre l’orizzonte della crisi economica. E lo fa concentrandosi su una storia individuale dai risvolti universali.
Elio Germano, one man film, dà magistralmente gambe e carattere al personaggio di Claudio, consacrandosi come vera punta di diamante della nuova generazione di attori made in Italy. In Claudio c’è tutto il paese reale, l’operaio che s’industria per diventare, o quanto meno sentirsi, un borghese piccolo piccolo. Un uomo che, nonostante l’infausto destino, non è mai realmente cattivo. Rabbioso, intenso, ma non cattivo. Un uomo dall’indole rock che da buon gladiatore non si arrende mai e porta avanti la sua vita spericolata. Orgoglio, onore, rispetto, amore, disagio, determinazione. Tutti questi sentimenti passano attraverso gli occhi sempre tesi e lucidi di Germano. Tutt’altro rispetto all’anima fragile di cui parla Vasco Rossi nella canzone amata e cantata a squarciagola dalla giovane coppia. Ma “la vita continua anche senza noi” e non c’è tempo per le lacrime né per Claudio né per il pubblico. Meritatissimo quindi il premio come miglior attore a Cannes 2010.
Ancora una volta, il regista de Il portaborse si avvale alla sceneggiatura dell’accoppiata Rulli-Petraglia. Ma i due non sono in grado di confezionare un congegno perfetto come invece era accaduto per il precedente Mio fratello è figlio unico. Dopo un inizio brillante, che ben illustra la costruzione di un giovane idillio familiare, smarriscono per strada alcuni fili potenzialmente interessanti, che, scomparendo, tolgono energia al film. Uno su tutti il rapporto con i figli, quella volontà di Claudio di renderli autonomi prima del tempo e di risarcire con il materiale ciò che risarcibile non è: l’affetto della madre. Anche su quest’ultima (Isabella Ragonese) non avrebbe certo guastato qualche minutino in più, non tanto prodigato all’elaborazione del lutto, quanto al ricordo.
Con ruvido realismo Luchetti (stra-meritevole del premio alla miglior regia ai David di Donatello 2011) guarda i suoi personaggi negli occhi, non dall’alto in basso, senza deformarli. La claustrofobica regia indugia ossessivamente su volti e corpi che saturano il campo, così stretta da lasciare minimi spiragli alla periferia e meno di zero al centro della Capitale. La macchina a spalla, con i suoi lunghi e mossi piani-sequenza, mette a fuoco l’instabilità della vita e del lavoro nel tempo odierno in un risultato paragonabile a quello ottenuto da Silvio Soldini in Giorni e nuvole.
Concludendo, La nostra vita, pur con alcune sbavature, è un film sincero, genuino, che ottiene la palma di essere uno spartiacque in quel genere indefinito che descrive l’Italia contemporanea.
Mio Dio, che locandina dimmerda! :'(
Ma come si fa a convincere la gente ad andare al cinema con un poster 70×100 che campeggia in vetrina così di cattivo gusto?! Ah, giusto… C’è il faccione di Raoul Bova…
Risparmiate carta, la prossima volta! O cambiate grafico…
Nicola la locandina non sarà un capolavoro… però quello lì non è Raoul Bova, ma Elio Germano…
Sono ignorante verso gli attori, lo so… Spero che il senso sia stato comunque chiaro… =)