La mia vita da zucchina di Claude Barras: la recensione
Tristissimo e pieno di poesia, La mia vita da zucchina è una vera e propria sorpresa, un fulmine a ciel sereno che squarcia la monotonia di molti prodotti che solcano (inutilmente) il grande schermo. Un’opera piccola, come i suoi incantevoli protagonisti e la sua durata (poco più di un’ora), con un cuore enorme che attacca quello dello spettatore.
La mia vita da zucchina, premio del pubblico al Festival di Annecy 2016, è un cartone animato per adulti. O meglio, può anche essere visto dai più piccoli, ma di certo non siamo di fronte alla serena spensieratezza dei film Disney. La mia vita da zucchina racconta la storia di un manipolo di piccoletti che condividono la stessa casa: un istituto per bambini abbandonati. Qui, nella varietà di storie che si portano dietro e dentro, scopriranno di essere più simili del previsto, accomunati da quella ricerca che in realtà avvicina ogni essere umano: l’amore e la felicità.
La mia vita da zucchina ha il suo punto di forza nel saper parlare ai grandi. Sì, è questa la piccola ma appuntita spada che impugna. Quei grandi che pregiudicano la felicità di chi, ancora nel bel mezzo dell’infanzia, è un innocente che non può far altro che subire le malefatte di grandi che bevono, si drogano, uccidono, si separano. Grandi che però, e anche qui sta uno dei meriti del film, non sono tutti cattivi. Tra tante mele marce, ce ne sono di buonissime, di quelle che danno nuovo fiato alla speranza di una vita migliore.
E ha del miracoloso come un film con pupazzetti animati in stop motion, con occhioni, capelli e fisionomie più aliene che umane, possa colpire la nostra sensibilità con maggiore potenza di un film “in carne e ossa”. Qui sta la magia di Claude Barras e dei suoi collaboratori (tra i quali alla sceneggiatura figura anche Celine Sciamma). Una di quelle magie che fanno amare il cinema ancora di più.