La festa delle fidanzate: commedia dell’assurdo su quella cosa chiamata amore

festa fidanzatePrendete l’attore protagonista di Better Call Saul, Bob Odenkirk, e mettetelo a scrivere biglietti d’amore. Poi aggiungeteci il blocco dello scrittore, l’omicidio del suo più acerrimo nemico di penna, un complotto con rapimento e riscatto e una dannata nuova festività annunciata dallo Stato della California: la Festa delle Fidanzate (Girlfriend’s Day). Il risultato è un crescendo di grottesco e dell’assurdo in nome di uno di quei sentimenti su cui, troppo spesso, non sappiamo più scrivere: l’amore.

La festa delle fidanzate è un piccolo film, all’apparenza senza capo né coda, uno stralunato joke al limite del kafkiano. Il regista Michael Stephenson (classe 1978) ha il coraggio di buttarcisi dentro senza paura, cosciente d’andare incontro ad una missione suicida: mischiare elementi che non hanno nulla in comune facendo leva sul fragile perno di un biglietto d’auguri. Ma la cosa ancora più assurda è che riesce nell’impresa.

La festa delle fidanzate è sì un film trascurabile, dimenticabile, al limite dell’insignificante. Ma ha la nobile forza di esserne consapevole. Quindi ne esce vittorioso, grazie ad una serie di gag che divertono ma dimentichiamo subito, come un appunto scritto male gettato nel cestino alla velocità della luce. La festa delle fidanzate, come il titolo stesso in qualche modo già ci suggerisce, è un assurdo totale, uno scherzo della natura cinematografica, che in molti (forse giustamente) schiferanno proprio come accade ad un piccolo biglietto d’auguri accanto ad un grosso, colorato e ben infiocchettato pacco regalo.

Ha però un pregio, di diritto o di rovescio, che lo fa valere qualcosa: nell’epoca degli auguri copia-incolla su WhatsApp o l’augurio tanto simpatico quanto impersonale (cioè non ad personam) ad urbi et orbi sulla propria bacheca Facebook, La festa delle fidanzate ci ricorda dell’esistenza del messaggio carta e penna, frutto della mente ma soprattutto del cuore, e non di una comoda ricerca su Google. Ci ricorda che ciascuno di noi è unico, e ciascuno è poeta per sé e per chi ama nella semplicità di un nero su bianco che nessun altro, neanche lo Shakespeare dei biglietti d’amore, saprebbe buttare giù. Un flebile bagliore di umanità.

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