La casa di Jack: confessioni di una mente pericolosa
Recensione di La casa di Jack di Lars Von Trier.
Confessioni di una mente pericolosa. Quella Jack o quella di Lars Von Trier? Probabilmente entrambe. Perché l’una è l’altra, l’una è diretta genesi dell’altra. Perché Jack è Lars e Lars è Jack, in uno slittamento continuo e vertiginoso tra realtà e immaginazione, tra arte e vita.
La casa di Jack è l’ennesima creatura malata partorita dalla mente del noto regista danese. Ed è l’ennesima conferma di un autore cinematografico sempre più spinto oltre i confini della follia.
La casa di Jack è un film di rara potenza, visiva, narrativa, estetica. È un buco nero che ci risucchia in un vortice di violenza, fisica e psicologica, come raramente abbiamo incontrato sul grande schermo.
La casa di Jack ci interroga sulla “materia” (concetto chiave del film) più nera e inconscia dell’uomo, continuamente scisso e (ri)unificato tra corpo e anima.
“Siamo fatti della stessa materia dei sogni”. Frase arcinota. Ma è davvero così? Oppure siamo fatti di violenza, lati oscuri, sentimenti disumani? Cosa si nasconde nel profondo di ciascuno di noi? Lars Von Trier apre e scarnifica la mente di un serial killer e, in controluce, ci costringe a guardare dentro noi stessi. La casa di Jack è quindi un viaggio psicanalitico nell’uomo, un viaggio interiore che è anche cammino metafisico in compagnia di quel Virgilio psicoterapeuta interpretato da Bruno Ganz e di quel Dante senza pudore interpretato da un gigantesco Matt Dillon. Quest’ultimo, dimenticato dal cinema, si “redime” alle luci della ribalta in quella che molto probabilmente è la fisionomia dell’assassino più truce e certosina che si sia mai vista. Jack (che non a caso richiama al noto Squartatore) è un serial killer efferato, allo stesso tempo istintivo e razionale, malato e geniale, disgustoso e godereccio agli occhi di uno spettatore che, pur scioccato dalle sue gesta, non può non “goderne” in qualche modo.
La casa di Jack è un film-tsunami, di quelli che inondano chi guarda, trascinandoci in un inferno di sangue e carne maciullata che sconcerta e sazia. È un altro tassello, forse tra i più riusciti, dall’innegabile peso specifico nella filmografia di un regista che non conosce il senso del limite e che, anche quando lo supera, in un modo o nell’altro, sa sempre ritrovare la strada verso casa. Quella di Jack, in questo caso.