Il traditore: Bellocchio e Favino non tradiscono
Recensione di Il traditore di Marco Bellocchio, con Pierfrancesco Favino, su Tommaso Buscetta.
“Il boss dei due mondi”. Non l’eroe. Perché di eroe non si può parlare. Mafioso terrificante, gangster di ispirazione e aspirazione americana, un vero duro e puro, fino al tradimento, fino alla latitanza oltranzista. Tommaso Buscetta, l’ago che ha fatto sbilanciare gli equilibri di Cosa Nostra, aprendo la strada al Maxi Processo, è stato un personaggio chiave sia nella storia della criminalità organizzata che in quella dello Stato italiano.
Con Il traditore Marco Bellocchio ci racconta l’uomo, il padre, il criminale, l’assassino, il non-pentito, il collaboratore di giustizia e tradimento. Ci racconta il fondante tema della famiglia e della fedeltà all’ombra della compagine più oscura e nascosta della nostra historia. Bellocchio sceglie un personaggio scottante, di quelli con i quali ci si brucia al solo pensiero. E lo tratteggia con polso fermissimo, integerrimo, rigoroso, da ultimo “grande vecchio” del cinema italiano. Evitando la macchietta, lo stereotipo, il grossolano e il superfluo. E ci riesce anche grazie ad un Pierfrancesco Favino che svetta su tutti, nel film e nel cinema italiano, confermandosi come un non plus ultra che mette i brividi (anche se la performance di Luigi Lo Cascio nelle deposizione in tribunale è da pioggia di premi).
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Lo stesso Bellocchio ha dichiarato che Il traditore è il film che meno ha a che fare con la sua vita, la sua biografia tormentata, piena di spettri ingombranti. E che è rimasto catturato dal fascino subdolo, criminale e non solo, di un “bandito” di altri tempi (o di tempi altri, fate voi…). Il rischio era quello di fare una nuova apologia del criminale, come era capitato al Vallanzasca di Michele Placido. Bellocchio non cade né nell’errore né nella tentazione. Il suo sguardo rimane fisso sul suo personaggio, assai ben tratteggiato, senza indugi né accondiscendenze. Il Tommaso Buscetta interpretato da un titanico, istrionico e chirurgico Pierfrancesco Favino è presente in ogni scena, anche quando non lo vediamo. È un fantasma che, in presentia ed in absentia, aleggia su tutto e tutti.
Insomma, Bellocchio si è fatto sedurre ma non ammaliare, intrigare ma non fuorviare. Eppure, di temi cari al regista de I pugni in tasca ce ne sono. Su tutti quello della famiglia, una costante nella sua filmografia dall’esordio fino a Fai bei sogni (ri-leggi la recensione). La famiglia nel suo senso più stretto e più ampio, più intimo e più omertoso. Così come le origini, l’importanza della terra natia, del passato. E poi il tema del tradimento. Tommaso Buscetta è un traditore? A detta sua non lo è, poiché rimasto fedele ai “valori” della criminalità organizzata “di un tempo”. Il mondo, anzi i mondi, intorno a lui sono cambiati, sono loro ad aver commesso “adulterio”. Prospettive radicali, velenose, viscide, che però sanno colpire lo spettatore.
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Il traditore è però anche un Marco Bellocchio che torna ad un alto livello di cinema politico. I richiami, stilistici e non solo, a Buongiorno, notte (inarrivabile capolavoro!) e Vincere ci sono. Su tutte le sequenze oniriche, i sogni e le allucinazioni che il non-pentito ha, che cedono il passo ad un gusto più gotico e horror rispetto a quelle liriche e sospese di Buongiorno, notte (ri-leggi la recensione). Bellocchio e la politica, già, la politica. Altro tema che accompagna quasi tutti i suoi film, volente o nolente. E stavolta, nel dipingere una parte della barricata (la mafia) e nel trascurare l’altra (lo Stato), mette quest’ultimo nell’angolo, come a sottolinearne l’impotenza di fronte al “teatrino” delle bagarre nell’aula bunker. Lo Stato c’è, ma nasconde la coda, intimorito. Mentre chi non dovrebbe esistere, ossia la criminalità organizzata, tira fuori i denti come tigri bianche e iene inquiete che, pur in gabbia, prede di una predestinazione che sa di maledizione, non esitano a mordersi le orecchie, proprio come bestie fameliche e inferocite.