Il paradiso del pavone di Laura Bispuri: dis-lessico familiare
Recensione di Il paradiso del pavone di Laura Bispuri.
La famiglia, almeno nella sua forma più canonica e tradizionale, nel cinema italiano è uno dei topos e dei “luoghi” più ricorrenti. È un vero asse portante con cui ogni grande autore si è confrontato. Ettore Scola su tutti. Il discorso è un po’ diverso quando si parla di famiglia moderna, anzi forse dovremmo dire contemporanea (se non addirittura del futuro). Allargata direbbero gli esperti. Il paradiso del pavone di Laura Bispuri ci racconta una famiglia dis-funzionale, ma non nel senso dispregiativo di sbagliata, ma nel senso positivo di diversamente funzionale, che ha trovato un proprio nuovo equilibrio.
Con Il paradiso del pavone siamo di fronte ad un kammerspiel. Il film infatti è quasi interamente girato all’interno di un piccolo appartamento borghese dove si ritrova uno sfilacciato e variegato nucleo familiare per un pranzo di festa. Ospite inatteso è un pavone, animale domestico e da compagnia della piccola Nena, simbolo della diversità ma anche dell’inadeguatezza di questi parenti tra loro un po’ serpenti. Il pavone come creatura da addomesticare e cullare è davvero qualcosa di insolito, ma incarna bene il desiderio di anticonformismo di questi personaggi, che vogliono in qualche modo sfuggire ad un passato, soprattutto in amore, che pesa come un grosso sasso in tasca.
Il paradiso del pavone, pur tenendo i toni sempre pacati, sa come arrivarci dentro poco a poco, facendoci entrare più dalla finestra che dalla porta in questo dis-lessico familiare, come ospiti a sorpresa, come terzi incomodi, come stranieri che però riescono a trovare il proprio posticino nell’istituzione delle istituzioni, ma negli ultimi decenni sempre più fluida, liquida, malleabile.