Il diritto di uccidere: la guerra (non) è un gioco | recensione film

Recensione del film Il diritto di uccidere con Helen Mirren, Aaron Paul e Alan Rickman.

il diritto di uccidere recensione filmDa una parte c’è il gioco. Quello dei bambini, di un calcio ad un pallone o un hula hoop da far volteggiare in vita. Dall’altra c’è la guerra. Quella che devasta, uccide, fatta di bombe, esplosioni, morti. Ma come in molti sanno (e fanno) si può anche giocare alla guerra, sebbene la guerra non sia un gioco.

Intorno a questi due estremi si muove Il diritto di uccidere di Gavin Hood, film che a sorpresa si rivela più solido e convincente del previsto. Un’opera sulla guerra oggi, sempre più tecnologica e sempre più in absentia, anche se intatto rimane l’eterno dilemma tra bersagli militari e vittime innocenti. “C’erano una volta gli eserciti” potremmo dire, quelli fatti di soldati che marciavano con gli scarponi, che mangiavano polvere nelle trincee, che morivano sul campo di battaglia. Oggi la guerra la si continua a fare, come prima più prima, ma a distanza. Droni e velivoli a ventimila piedi da terra sganciano bombe con un clic lanciato da un computer d’ufficio o poco più. La guerra è cambiata, ma i suoi esiti, e i dubbi etici che solleva, sono gli stessi di ieri (e di domani).

Guerra e gioco. Così vicini e così lontani, dunque. Il diritto di uccidere ci mostra con sguardo secco come fare la guerra oggi sia proprio come quella che vediamo nei videogames. O forse sarebbe meglio dire il contrario. Fatto sta che tutto passa da uno schermo, da un mirino, da un puntatore mosso come un joystick d’altri tempi, da uno scarabeo (eye in the sky, e non solo) comandato a pile proprio come una macchinina da regalare a Natale.

Il diritto di uccidere è un film teso, palpitante, coinvolgente, assolutamente ben scritto e ben recitato (per fortuna senza eccessi o manierismi). Che non cede minimamente al war movie classico né tantomeno alla spy story, anche se in alcuni casi, complice l’ambientazione, avrebbe potuto strizzare l’occhiolino a filmoni riusciti in pieno come Spy Game di Tony Scott o Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow. E invece no, Il diritto di uccidere non ha e non dà riferimenti (o quantomeno riesce nel mascherarli molto bene). Anche perché, a ben vedere, di soli due anni fa era Good Kill con Ethan Hawke, il quale in soldoni affrontava pari pari la stessa tematica. Il diritto di uccidere, però, è più rigoroso, non cede all’emotività, configurandosi come un war thriller che tiene incollati alla poltroncina facendoci riflettere e sospirare insieme ai suoi protagonisti.

Tutti bravi gli interpreti. Anche se spicca, e non solo perché alla sua ultima interpretazione prima della prematura scomparsa, un intenso Alan Rickman. Poche battute, pochi sguardi, poche ciance insomma. Quanto basta per ricordarci la sua grandezza.

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