Il corriere – The mule: Clint Eastwood (ri)conquista il (Mid)West
Recensione di Il corriere – The mule di Clint Eastwood.
Il corriere – The mule sta tutto in un volto, quel volto, il suo, di Clint Eastwood. Ossuto e scavato, tirato e teso, tutto una ruga e una vita. In quello sguardo che, oggi come agli esordi, è quasi un ghigno, di disperazione e di resistenza, di coraggio e di paura. E in quel corpo, esile e scheletrico, tosto e (in)frangibile. Il corriere – The mule è Clint Eastwood, e in molti ritroveranno cenni autobiografici in quello che sembra essere il film testamento di uno dei più grandi autori e attori del cinema americano di sempre.
“Si può girare un film su tutto, basta sfogliare il giornale” affermava Francois Truffaut in Effetto notte. Eastwood sembra averlo preso alla lettera, e non è la prima volta. Stavolta s’ispira ad un’incredibile storia vera raccontata sul New York Times Magazine nel 2014: un novantenne che ha attraversato mezza America come corriere della droga.
Eastwood, dieci anni dopo Gran Torino, giunto alla veneranda età di 88 anni, torna a vestire i doppi panni di regista e attore, cucendosi addosso una parte che gli calza letteralmente e dannatamente a pennello, declinata in una vena lieve e comica che stupisce e convince ogni minuto di più. Il corriere – The mule è un’amara e ironica parabola sulla vita, sui “mali” del nostro tempo (internet e smartphone tra i bersagli più evidenti), sull’importanza dei veri valori, la famiglia in primo luogo, che il protagonista ha sacrificato e trascurato troppo a lungo per colpa del lavoro.
Recensioni film di Clint Eastwood
Clint Eastwood, californiano dagli occhi di ghiaccio, cavaliere e corriere pallido ma tenace, ri-conquista il MidWest. Ora che le praterie sono diventate autostrade, quel mulo con cui entrava in scena nel 1964 in Per un pugno di dollari di Sergio Leone si è trasformato in un pick-up solido e fiammante, che solca agilmente gli States in un affresco on the road di grande personalità.
E quel mulo di Eastwood, da sempre testardo e burbero, pare anche essersi addolcito invecchiando, come dimostra il finale del film, che cede ad un massiccio pizzico di moralismo e sentimentalismo. La durezza, stoica e battagliera, dimostrata in Gran Torino e Million Dollar Baby, pare ora farsi da parte di fronte al messaggio che si vuole lasciare allo spettatore. Eastwood è cosciente di tutto questo. E pare avvisarci, con quello sguardo (non) in macchina poco prima di fermare la sua ultima corsa. Pare arrendersi, pur non rassegnato, e metterci in guardia sulla virata, un po’ stonata e alquanto improvvisa, a cui va incontro il finale. A molti non piacerà il mezzo happy ending, ma ciò non mette in discussione il valore di un film che scalda e riempie il cuore, arrivando a sfiorare quella perfezione a cui solo i grandi registi sanno ancora aspirare e aderire.