Il censimento dei radical chic: recensione libro di Giacomo Papi
Recensione del libro Il censimento dei radical chic di Giacomo Papi.
La cultura come arma sovversiva, di disordine e discriminazione sociale, da mettere al bando e alla berlina. Gli intellettuali come una élite da isolare, punire, mettere in ridicolo in televisione e sulla pubblica piazza. Questo il cuore di Il censimento dei radical chic di Giacomo Papi, un romanzetto solo all’apparenza semplice, che dietro uno stile lineare e più di una divertita risata strappata quasi di nascosto, ci fa riflettere su un futuro che è già il nostro presente, e viceversa.
Un primo ministro spaccone, un intellettuale gambizzato, una figlia alle prese con un mistero di sbrogliare. Sullo sfondo, un’Italietta allo sbando che censisce chi invece dovrebbe essere “liberalizzato”, ossia il portatore (sano) di cultura, che altro non è che la via verso la libertà, la verità, il pensiero che ci rende uomini e non bestie.
Che negli ultimi anni, a livello mondiale, certi scenari dal sapore distopico siano (tristemente) diventati realtà, è pressoché sotto gli occhi di tutti. E Giacomo Papi si appoggia proprio su questa confusione e allo stesso tempo identità tra immaginario e (iper)reale per (ri)accendere in noi uno spunto di riflessione, quello intorno all’importanza dei libri, che ciclicamente viene sollevato e nuovamente sepolto nel nostro Belpaese sempre più anonimo e radicalizzato.
Con echi da 1984 di George Orwell e Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (palesemente omaggiato nel finale, forse un po’ tranchant, del libro), Il censimento dei radical chic mischia bene le dosi di ironia e riflessione, idealismo e nichilismo, in un risultato che ha il pregio di tenere costante la nostra attenzione e accesa la lampadina del nostro cervello.
In termini stilistici, particolarmente riuscita è la trovata del “barrato”, che oscura intere frasi perché ritenute troppo complicate, quindi anch’esse sottoposte alla censura che colpisce coloro che, dietro golfini di cashmere color aragosta, cercano di tenere vivo il nostro spirito critico. “Non contiene parole difficili” recita la quarta di copertina a mo’ di timbro che “legittima” l’esistenza di un libro che (non) dovrebbe essere pericoloso. Sicuramente è un piccolo grande romanzo che, con sagacia e umiltà, ci lascia qualcosa dentro. Come un quadro, un film, uno spettacolo teatrale, insomma come tutto ciò che ciba quell’inutile necessità che è la cultura.