Icarus: il film sul doping di Netflix, da Armstrong alla Russia olimpica
Si dice che la verità sia l’arma più forte, la vittoria alata sopra le menzogne del mondo. Si dice che renda liberi, che renda addirittura folli. Un po’ come il desiderio. Quello stesso desiderio che spinse Icaro a volare così vicino al sole da bruciarsi e cadere nel vuoto. Poi, però, c’è il Potere, e con lui non si scherza né si ragiona. Perché lui vince sempre, vince a priori e vince in extremis. E, machiavellico, è disposto anche ad uccidere, per vincere. Icarus di Bryan Fogel, Miglior documentario ai Premi Oscar 2018 e vincitore dell’Audience Choice Award al Sundance Film Festival 2017, disponibile su Netflix, è un’opera sconvolgente sul braccio di ferro tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra la brama di trionfare e il desiderio di barare sul terreno sempre meno etico dello sport, uno sport che ha un peso specifico politico non indifferente. Icarus è un film sul doping e sul Potere che è capace di distorcere, anzi cancellare, la verità, con un colpo di spugna, un villano colpo di mano che mette a morte l’agonismo e tutto ciò che fa rima con lealtà e legalità.
Icarus è un documentario con la potenza e il ritmo di un thriller. C’è l’indagine, il climax degli eventi, la fuga, la caccia al topo, la reclusione, il rischio della decesso del protagonista. Ma non è finzione. Icarus racconta un virus che continua a colpire lo sport ed ogni volta ci sconvolge con gradazione maggiore: il doping. Icarus è un film sul doping, dal caso Lance Armstrong alle Olimpiadi di Soči del febbraio 2014 dominate da una instancabile e inarrivabile Russia. Il regista e atleta Bryan Fogel non si limita a mettere insieme i pezzi, come spesso capita nei documentari, ma affronta il prima persona il cuore sudicio della questione. Icarus è così un documentario che parte da lontano, con protagonista uno sportivo, Fogel stesso, ciclista amatoriale tendente al professionismo, che prova sulla sua pelle, buco dopo buco, livido dopo livido, cosa vuol dire intraprendere una “terapia” di doping ma apparire puliti a tutti i test di controllo. Lo fa rivolgendosi al più esperto imbroglione in materia: il russo Grigory Rodchenkov. E l’indagine va così a fondo che lo stesso Rodchenkov decide di aprire quel vaso di Pandora che ha quasi vietato l’accesso della Russia alle Olimpiadi di Rio in Brasile. Rodchenkov passa dall’essere il facilitatore del più elaborato stratagemma di doping al mondo a rivelatore di un segreto che ha rischiato di mandare in frantumi l’intero sistema sportivo mondiale. In Russia lo sport non è un gioco, non si gareggia per partecipare. In Russia lo sport è politica, è diretto coinvolgimento delle alte sfere, Putin compreso. Le rivelazioni di Rodchenkov escono sul New York Times e parte la caccia al traditore, perché di questo si tratta per la Russia: alto tradimento. Al pari della rivelazione di un segreto di Stato o di sicurezza nazionale.
Icarus coinvolge e mette a disagio allo spettatore, ci fa stare col fiato sospeso e ci fa sospirare sull’intera credibilità dello sport tutto che seguiamo con tanta passione. Anzi, fa di più: fa quasi letteralmente passare la voglia di guardare lo sport, qualunque esso sia. Icarus volta una carta grande come una casa, ci mostra la luna oltre il nostro dito, ci fa credere nel potere della Verità ma subito dopo ci atterrisce buttandoci in faccia la verità del Potere, che è più forte. Icarus è un documentario di altissimo livello, di quelli che mettono paura, che non si limita a raccontare e documentare, ma punta a fare male. Come un grosso ago conficcato tra un muscolo e l’altro, vicino al cuore di un Credo, lo Sport, che batte molto debole giunti ai titoli di coda, di fronte ad un finale che scoperchia tutto il marcio dal quale pare non esserci più via di scampo.