I predatori di Pietro Castellitto: la rabbia giovane – recensione
Recensione di I predatori di Pietro Castellitto, miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti di Venezia 77.
Anarchico, cinico, disincantato. I predatori, esordio alla regia del giovanissimo Pietro Castellitto (classe 1991), è un film che ha l’ambizione di restare, di voler essere ricordato. Ha un’ansia da prestazione evidente, ma riesce a gestirla bene, inanellando una serie di personaggi e situazioni che spingono sul pedale del grottesco, ri-portando il cinema italiano verso territori difficili e da tempo trascurati.
Fascisti, violenti, senza scrupoli, bestemmiatori (infatti Castellitto nelle prime sequenze del film piazza anche due mezze bestemmie volatili “salvate” dall’eventuale censura da “studiati” e netti taglio di montaggio). È un’umanità borderline, ben oltre l’orlo di una crisi di nervi, carica di rabbia, insoddisfazione, frustrazione. Quegli stessi sentimenti che riempiono i giovani di oggi, vessati da un periodo storico e una società che produce tanta bile e poca energia umana “rinnovabile”.
“Perché il futuro fa più paura della morte?” si domanda uno dei personaggi del film, dopo aver messo alla berlina genitori e relativi amici per aver dilapidato tutto quanto era possibile, fino a lasciare solo le briciole alle future generazioni. Il futuro, la morte, la paura. Pietro Castellitto coglie questo punto cruciale e il film è l’urlo disperato di una generazione che, come il personaggio di Federico, vorrebbe mettere una bomba a tutto per riavviare il sistema. Ma non funziona così, perché il sistema vince sempre, un po’ come il banco a carte. Il diavolo, come in una sorta di moderno Il maestro e Margherita di Bulgakov, prende nuove sembianze, si cambia d’abito, ma sfoggia sempre lo stesso insopportabile sorriso a trentadue denti (il personaggio interpretato da Vinicio Marchioni).
Chi sono dunque i predatori del titolo? Non è facile dirlo. Di certo le prede sono i giovani. Gli aguzzini, forse, gli adulti “sordi” come la nonna rimbambita o “ciechi” come Pierpaolo (interpretato da un grande Massimo Popolizio) che non vedono o non vogliono vedere, sempre assorti con fare catatonico nei propri pensieri.
Giovani al centro di una resilienza ostentata ma senza speranza, con volti fintamente felici perché è vietato essere tristi in pubblico, sullo sfondo di un mondo che ti fotte sin dal primo momento.
Il premio per la miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti di Venezia 77 appare un po’ generoso, perché a ben vedere l’anima dello script si perde un po’ per strada, ma allo stesso tempo dimostra coraggio, soprattutto nel tentativo di lasciare la strada maestra di una linea narrativa “classica” per abbandonarsi al “qui ed ora” di un procedere (apparentemente) senza meta.
Castellitto dimostra scioltezza e personalità in termini di regia e di direzione degli attori pur trovandosi a che fare con un parterre de roi di interpreti davvero tutti bravissimi, anche se una menzione speciale va all’allucinato Dario Cassini.