Cosa voglio di più di Silvio Soldini: la recensione
“A volte basta un attimo per dimenticare tutta una vita, ma altre volte non basta tutta una vita per dimenticare un attimo”. Una frase profetica che il panciuto e inconsapevole cornuto Alessio (Giuseppe Battiston) pronuncia quando la funesta profezia si è già verificata: la sua amata Anna (Alba Rohrwacher) è appena rientrata dall’incontro col suo focoso amante, Domenico (Pierfrancesco Favino). Un coltello del catering, un sorriso, un biglietto da visita. E’ questo l’attimo che stravolge il cuore e la mente della bionda protagonista, un attimo che non si scorda e manda in fumo anni di vita passati insieme al suo fido compagno.
Dopo il dittico del colore Pane e tulipani-Agata e la tempesta, Silvio Soldini realizza quello sul precariato (del lavoro e dell’amore) Giorni e nuvole-Cosa voglio di più. I toni freschi e briosi della commedia si tramutano in drammi della quotidianità densi di pathos. La stessa cromia accesa e quasi acida dei primi due scompare a favore di colori freddi, grigi, urbani. Soldini abbandona il paese delle meraviglie e torna sulla terra. Quella patina opaca e vaporosa, che avvolgeva la Genova tutta porto e cemento nella quale si muoveva la coppia Albanese-Buy, trasmigra in una Milano indefinita e indecifrabile, fatta di angoli stradali e interni di pub, uffici, auto, motel.
Il baffuto regista lombardo confeziona una nuova perla del cinema italiano, dando personalità e originalità ad un plot vecchio come il mondo: il tradimento. Ci riesce grazie ad una regia dominata, proprio come in “Giorni e nuvole”, da una macchina a mano che pedina i personaggi, li scruta da vicino, accentuando il nauseante e instabile equilibrio dei tempi moderni. Ma non solo. Anche tramite una colonna sonora sobria, quasi inesistente, per di più intradiegetica, che lascia ampio spazio ai rumori metallici e fastidiosi di sedie, porte, tacchi, sportelli, finestre.
Con Cosa voglio di più siamo di fronte ad un’opera pregiata, che osserva la realtà mischiando fare da reportage e poesia, portando lo spettatore ad una profonda e totale immedesimazione.
Cosa voglio di più? Niente, grazie. Ci basta un Silvio Soldini così.