La grande passione: la FIFA, Blatter e una noia mondiale
Forse il più brutto film sul calcio mai realizzato. Proprio perché privo de la grande passione che il titolo italiano banalmente sbandiera.
United Passions di Frédéric Auburtin, da noi appunto La grande passione, è una cavalcata lunga cent’anni dalle origini al tempo più o meno presente della FIFA, Fédération Internationale de Football Association. Una storia lunga un secolo da Jules Rimet a Joao Havelange a Sepp Blatter condensata in 2 orette stringate per un film senza spessore né mordente sportivo e tanto meno cinematografico.
La grande passione salta da un anno all’altro, dal 1904 al 1924, dalla depressione degli anni Trenta agli storici anni Sessanta, dall’indimenticabile ’82 ai magici anni Novanta fino agli anni Duemila dei mondiali in Giappone-Sud Korea e in Sud Africa. Ellissi temporali che si traducono in ellissi narrative e che non permettono in alcun modo il minimo coinvolgimento dello spettatore.
Un film discontinuo anche nella fotografia, con passaggi in cui traspare un po’ di personalità e altri in cui sembra di assistere ad una telenovelas brasiliana approdata per i mesi estivi su Rai 2. La gestione dei tempi è altalenante, fortemente compressi nella prima parte e inaspettatamente dilatati nella seconda, la quale, concentrandosi sulla gestione Havelange e soprattutto su quella Blatter, è a dir il vero dotata di un minimo di piglio. Ecco, valeva o varrebbe la pena dedicare un intero film a questa eminenza grigia, Blatter, che da La grande passione emerge come un eroe nella ricerca dei grandi sponsor calcistici Coca Cola e Adidas e, allo stesso tempo, un torbido pescecane disposto al broglio per non perdere la sua poltrona.
Insomma, La grande passione è nel complesso un film noioso, privo di anima, fatto un po’ con i piedi e a tempo perso, tanto che non si spiega perché la FIFA lo abbia finanziato per la quasi totalità (16 milioni di sterline) per consegnare un’immagine anonima e sbiadita di sé. Un film che potrebbe essere tranquillamente una fiction, se non fosse per il coinvolgimento di tre star: Tim Roth, Sam Neill e Gerard Depardieu. Il primo domina incontrastato sugli altri due, ma questo si sapeva sin dall’inizio, anzi era l’unico vero motivo per decidere (masochisticamente) di vedere questo raffazzonato biopic calcistico.
Si tratta di un film propaganda in vista delle elezioni FIFA (che si terranno a breve). Alla fine l’obbiettivo era quello di dare al pubblico un’immagine buonista di Havelange e Blatter, dei visionari che hanno dato al Mondo i mondiali di calcio e che hanno saputi sfruttare a fini economici, tralasciando le pagine nere, quelle che i dirigenti hanno iniziato a scrivere a partire dagli anni ’70, da quel contestato mondiale assegnato all’Argentina del dittatore Videla, passando per il mondiale 2002, quello degli errori arbitrali e per finire, gli ultimi due mondiali che ancora devono essere giocati: Russia 2018 e Qatar 2022. Oggi, ad un passo dalle elezioni, l’immagine di Blatter viene macchiata dallo scandalo delle tangenti, iniziato 24 anni fa.
Il fatto che il film sia piatto è sintomo della volontà della FIFA di non parlare troppo, di lasciare dei vuoti tappati dall’interpretazione “buona” di Sam Neill e quella convincente di Tim Roth, e far si che l’organo mondiale del calcio sia visto bianco immacolato.