Goodnight Sofia di Leonardo Moro, la recensione

goodnight sofia filmUn film piccolo piccolo ma dal cuore grande grande. Il cuore di un ricordo, di una ferita, di un passato mai passato, di un presente catartico. Goodnight Sofia di Leonardo Moro è uno di quei film indipendenti nati da una necessità, dall’elaborazione di un lutto, da un bisogno che accetta di realizzarsi anche al di fuori delle solite logiche del mercato cinematografico nazionale.

Goodnight Sofia è stato prodotto con non più di duemila euro dal regista Leonardo Moro insieme all’amico di sempre Lorenzo Robusti. Il risultato è un film che non supera l’ora di durata, ma sa colpire a fondo lo spettatore. Uno di quei film che, grazie al passaparola e alla caparbietà di chi lo ha voluto e realizzato, ha girato il mondo (Berlino, Melbourne, Sarajevo, Buenos Aires, Tallin, Phoenix, Kuala Lumpur, Barcellona, ecc.) anche forte di quel sistema del Creative Commons ancora pressoché “sconosciuto” in Italia.

Goodnight Sofia ha le fattezze di un film astratto, di ricerca, sperimentale, di ricordi che si fanno vivi e vividi tramite una storia inframezzata da immagini di repertorio, ambientata in Bulgaria, con protagonista una ragazza colpita da un grave lutto che può superare solo viaggiando fuori e dentro di sé. Quella ragazza è l’alter ego del regista, che ha perso inaspettatamente il padre, morto suicida. Il suo ricordo della figura paterna è legato ad una breve telefonata mentre lui era di passaggio a Sofia (Bulgaria) dopo un viaggio a Istanbul. Una telefonata, quindi una voce. Quella stessa voce che apre e guida il film, voice over che percorre reminiscenze come poesie declamate pregne di nostalgia e malinconia.

Il passato e il ricordo prendono forma tramite spezzoni di un’infanzia immaginaria, quasi magica, un’infanzia che è allo stesso tempo quella personale del regista, quella del cinema, quella della città di Sofia, quella di altre famiglie lontane e perdute.

Goodnight Sofia ricorda il cinema riflessivo di Terrence Malick. Certo non c’è quella magnificenza visiva, ma il coinvolgimento emotivo non è da meno. È un viaggio indietro nel tempo lungo flash sgranati e senza età, un viaggio trasversale, stratificato, silenzioso, intimo anche grazie all’ottimo lavoro alle musiche di Dorothy Hayden e al suono di Toshiaki Kobayashi. Un film che guarda e scava dentro chi guarda e chi dirige, col fine di mettere a tacere, a riposare, a dormire (ecco il goodnight del titolo) una città grande come un ricordo che non abbandona.

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