Good Bye, Lenin!

Good_bye_leninRaramente il cinema riesce a creare un ibrido omogeneo di dramma e commedia in modo equilibrato, senza calcare la mano né sull’uno né sull’altro genere, con una fluidità che non patisce attriti nè forzature. Good bye, Lenin! di Wolfgang Becker è una di queste rarità. Un’opera di bellezza non comune, che convince e scioglie cuore e anima sin dai primissimi minuti.

Ottobre 1989, Germania dell’Est. Christiane subisce un infarto dopo aver visto il figlio Alex trascinato via dalla polizia durante una manifestazione politica. All’infarto segue il coma. Poche settimane dopo crolla il Muro di Berlino ed il capitalismo di Ikea, Coca Cola e simili oltrepassa il confine. Passano otto mesi e Christiane torna ad aprire gli occhi. Ma il suo debole cuore non reggerebbe l’impatto con il prepotente ingresso della civiltà occidentalizzata che ha invaso le strade di Berlino. Alex farà di tutto per farle credere che è ancora tutto come prima…

Un soggetto da premio Oscar, da standing ovation per la profonda originalità. Una vicenda di straordinaria intensità ambientata in un momento storico scivoloso, ricco di tabù, paure, incertezze, nuova vita. Un motivo in più per dar credito a Good bye, Lenin! diretto con pugno fermo e lieve da Wolfgang Becker. Una regia scrupolosa, vibrante, variegata sequenza dopo sequenza, caratterizzata da un sagace, puntuale e non ostentato uso del double speed, il quale ruba sorrisi e risate ad uno spettatore a dir poco incantato. Il dramma si sovrappone al comico puro, il brivido allo humor più fine, il tutto in un mosaico di frame che scorrono gli uni sugli altri con leggerezza cosmica.

Appaganti i richiami a Kubrick. Due i casi palesi: l’uso del double speed visivo e musicale nel ritorno ab origine della stanza della madre, chiara eco delle scene di “avventura” sessuale di Drugo in “Arancia meccanica”; di “2001 – Odissea nello spazio”, nel filmino amatoriale elaborato dal personaggio di Jurgen Vogel dove un bouquet da sposa e una torta di compleanno si sostituiscono agli stra-noti osso fluttuante in aria e all’astronave vagante nello Spazio. Citare Kubrick non è poi una scelta a caso. In un film che gioca sapientemente coi generi, si cita il director di “Shining” in quanto inimitabile giocoliere del cinema, cimentatosi con tutti i generi della settima arte, e in quanto regista della svolta, del cambiamento più radicale, proprio come lo è stato il crollo del muro berlinese.

Good bye, Lenin! è un film certamente riuscito anche grazie ai suoi attori: un sorprendente e poliedrico Daniel Bruhl, noto al grande pubblico per l’algida e pungente performance in Bastardi senza gloria di Tarantino, nei panni del caparbio e “fastidioso” Frederick Zoller, eroe della patria tedesca; un’alienata e realistica Katrin Sass, mamma senza trucco da preservare nella sua campana di vetro; una radiante, sorridente e “birichina” Chulpan Khamatova, nelle vesti di infermierina e fidanzatina di Alex; uno smagrito e irresistibilmente simpatico Jurgen Vogel, nella memoria del grande pubblico anche per l’eccellente prova nello scioccante “L’onda” di Dennis Gansel. A questi si aggiungono personaggi di contorno dal sapore intimo, più di paese che di città metropolitana, di gusto vagamente anglosassone (penso a “Svegliati Ned” o “L’erba di Grace”).

Infine non possiamo non sottolineare la trascinante colonna sonora di Yann Tiersen, passato alla storia come compositore delle musiche de “Il favoloso mondo di Amelie”. Archi e piano si amalgamano con armonia verso soluzioni ora cullanti ora ansiogene, ora malinconiche ora picaresche. Musiche che sono solido, e mai invasivo né opprimente, collante del montaggio di Peter R. Adam. Insomma, Good bye, Lenin! è senza dubbio una pellicola da inserire nella classifica delle più belle dell’ultimo decennio.

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