Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) di Martin McDonagh
Recensione di Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) di Martin McDonagh.
Può un’amicizia finire da un giorno all’altro (senza apparente motivo)? Secondo Martin McDonagh sì. Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) ruota su questo assunto dell’assurdo per farci riflettere sulla natura umana e sulla sua capacità e inestricabile necessità di trovare sempre un pretesto per farsi la guerra.
Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), presentato in concorso al 79esimo Festival di Venezia, è una commedia dai risvolti drammatici e a tratti anche horror, che come una tragi-commedia dell’assurdo ci porta davanti ai lati più oscuri e inspiegabili dell’uomo. Un film sull’importanza e la necessità del dialogo tra le persone, ma anche, di risvolto e conseguenza, sui danni provocati dall’incomunicabilità, su chi per orgoglio (o altri ignoti dannosi motivi) rinuncia a capire gli altri. La metafora politica è evidente: basta una guerra in lontananza, o anche solo i fantasmi di questa, per arrogarci il diritto di rompere i rapporti con chi fino al giorno prima era il nostro migliore amico. Uno spunto surreale e grottesco, e proprio per questo dannatamente vero e reale, che apre brecce dentro di noi, su chi siamo oggi e su chi potremo essere domani a causa di un agente esterno (o auto-indotto).
Meno doloroso e incisivo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, ma non meno ficcante, torna a sposare i toni comici di In bruges e 7 psicopatici, legandoli ad una componente intellettuale e filosofica che germoglia dialogo dopo dialogo fino ad un epilogo che non lascia scampo.