Giri / Haji di Joe Barton: recensione della serie crime su Netflix
Recensione Giri / Haji, serie crime su Netflix.
In questi giorni di forzata vita casalinga, abbiamo modo di recuperare serie o film entrati da tempo nei nostri radar cinefili, ma la cui visione abbiamo troppo a lungo procrastinato, magari optando per produzioni di maggiore richiamo. Tra questi recuperi, vale la pena dare una possibilità alla serie Giri / Haji (Dovere / Vergogna), prodotta da Sister Pictures (la stessa di Chernobyl), distribuita da BBC e disponibile in Italia su Netflix.
La vicenda non è delle più lineari. Il detective di Tokyo Kenzo Mori (Takehiro Hira) si reca a Londra per cercare suo fratello Yuto, fuggito in disgrazia dal Giappone per aver eliminato il nipote di un capo della Yakuza. Vuole riportarlo a casa e obbligarlo ad affrontare il proprio destino (per mano della polizia o dei gangster che gli danno la caccia). Kenzo, combattuto tra i pro e i contro del dovere ricondurre in patria il fratello (ed evitare così l’esplosione di una sanguinosa guerra tra clan), nel corso delle ricerche incontra la detective inglese Sarah (Kelly Macdonald) e altri personaggi che gradualmente finiranno per diventare per lui una specie di seconda famiglia. Già dalla trama si può intuire che Giri / Haji mette in moto una tale quantità di situazioni da rischiare il sovraccarico, e la quantità di risvolti a cui si assiste rende spesso difficile prenderla sul serio.
Ma al netto di questi difetti (comuni, a dir il vero, a molte serie di oggi), Giri/Haji è una delle visioni più intriganti degli ultimi mesi. È un buon esempio di blend ben congegnato tra una produzione occidentale e una orientale. Le modalità e i tempi sono quelli delle migliori serie crime del nostro “emisfero”, mentre alcune tematiche e contaminazioni di genere fanno la gioia di chi ha maggiore familiarità col cinema asiatico. Difficile appiccicarle addosso una sola “etichetta”: non mancano momenti di bizzarra e inaspettata comicità, inserite con coraggio all’interno di situazioni drammatiche (l’effetto di “sbigottimento” è garantito!); le scene d’azione, per tensione e ritmo, non hanno niente da invidiare al migliore Tarantino; i “riassunti delle puntate precedenti” sono resi per mezzo di una finissima animazione in stile giapponese. Per non parlare di un finale che sintetizza, in modo originale ed elegantissimo, l’intera operazione in un’indimenticabile danza stilizzata di corpi.
I personaggi hanno qualcosa di pregevole perché non sono “spiegati”, bensì accennati, e per questo ci stuzzicano e vogliamo saperne di più. Oltre ai complessi personaggi principali, e al bel “lost in translation” che intercorre puntualmente tra due culture diversissime, anche i personaggi secondari sono ben tratteggiati. Tra questi, Rodney (il gigolò drogato che aiuta Kenzo), Taki (la figlia nerd di Kenzo) e Abbott (un gangster inglese in fissa col Giappone) meriterebbero ciascuno una serie a sé.
Insomma, Giri / Haji non è certo una serie perfetta, ma ha lineamenti che gridano unicità e grande interesse, facilmente preferibili a quelli più grossolani di serie blasonate.