Francois Truffaut: a 30 anni dalla morte, 10 frasi indimenticabili.
Era il 21 ottobre 1984 quando morì uno dei più grandi registi di sempre: Francois Truffaut.
La sua fu una carriera divisa tra critica e regia cinematografica. Come critico cinematografico pubblicò su diverse testate, in assoluto le più note sono i Cahiers du cinéma (dal 1953) e Arts (dal 1954 al 1959). Come regista diresse circa 20 film, molti dei quali passati alla storia. Tra i tanti: I 400 colpi (1959), Jules & Jim (1961), Farhenheit 451 (1966), Effetto notte (1973).
A 30 anni di distanza dalla sua scomparsa, ecco 10 frasi indimenticabili:
1 – Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia, costruire un oggetto che è allo stesso tempo un giocattolo inedito e un vaso dove si disporranno, come se si trattasse di un mazzo di fiori, le idee che si hanno in questo momento o in modo permanente. Il nostro film migliore è forse quello in cui riusciamo a esprimere, più o meno volontariamente, sia le nostre idee sulla vita che le nostre idee sul cinema.
2 – La lavorazione di un film somiglia al percorso di una diligenza nel Far West: all’inizio uno spera di fare un bel viaggio, poi comincia a domandarsi se arriverà a destinazione.
3 – Appartengo ad una generazione di cineasti che hanno deciso di fare film avendo visto “Quarto potere”.
4 – Roberto Rossellini mi ha insegnato che il soggetto di un film è più importante dell’originalità dei titoli di testa, che una buona sceneggiatura deve stare in dodici pagine, che bisogna filmare i bambini con maggior rispetto di qualsiasi altra cosa, che la macchina da presa non ha più importanza di una forchetta e che bisogna potersi dire, prima di ogni ripresa: “O faccio questo film o crepo”.
5 – Io, prima di cominciare a girare, desidero soprattutto fare un film che sia bello. Non appena sorgono le prime grane devo ridurre le mie ambizioni, augurandomi che io riesca a finire il film. Verso la metà della lavorazione faccio un esame di coscienza, e mi dico: potevi lavorare meglio, potevi dare di più, ora ti resta l’altra metà per rimetterti in pari, e da quel momento cerco di rendere più vivo tutto ciò che si vedrà sullo schermo.
6 – Il regista di un film in lavorazione è il suo primo spettatore: se la scena è buona per lui, deve essere buona anche per il pubblico. E quando facciamo fiasco, evitiamo di dichiarare: “Il mio film sarà capito fra dieci anni”, o, a proposito di un vecchio insuccesso, non diciamo: “Oggi il mio film troverebbe un suo pubblico”.
7 – Bisogna dubitare del proprio talento, non della propria ispirazione. Non bisogna dirsi: “Dio mio, è spaventoso, mentre dei bambini muoiono di fame in Biafra io sto girando una commedia musicale sull’adulterio”, ma ricordarsi che nel momento in cui abbiamo deciso di girare quella commedia musicale sull’adulterio, eravamo in un tale stato di esaltazione che avremmo preferito morire piuttosto che rinunciare al nostro progetto.
8 – Lei mi domanda: “Che consigli darebbe a dei futuri registi?”. Non credo si possano dare consigli a chi si appresta a praticare un mestiere artistico, ma posso cercare di estrapolare qualche regola che ha valore per me e solo per me.
9 – So perfettamente che Hollywood è stata descritta come una città di panettieri dove si fabbrica solo pane, ma cosa succederà quando il pane sarà consumato solo dai panettieri? Quando mi passano per la mente questo tipo di pensieri pessimisti, mi rassicuro facendomi ritornare alla memoria l’ultima sequenza di un film di Ingmar Bergman che si intitola “Luci d’inverno”. Alla fine di “Luci d’inverno” si vede un prete, che ha praticamente perso la fede, celebrare la messa nella sua chiesa completamente vuota. Il film termina lì, con quel prete che malgrado tutto dice messa, e io interpreto quella scena in maniera diversa; mi dico: “Sì, Bergman vuole dirci che gli spettatori di tutto il mondo stanno abbandonando il cinema, ma pensa che sia comunque necessario continuare a fare film, anche se si dubita e anche se non c’è nessuno in sala”.
10 – I progressi? Sono tutte frottole. Bisogna cercare di farne, ma è bene sapere che saranno irrisori rispetto alla ricchezza che è in noi e che si è espressa nel primo rullo di pellicola impressionata; tutto Bunuel è in “Un chien andalou”, tutto Welles in “Quarto potere”, tutto Godard in “Fino all’ultimo respiro”.