Entertainment di Rick Alverson: la recensione
Recensione di Entertainment di Rick Alverson.
“Why? Why? Why?” (Perché? Perché? Perché?). L’avverbio interrogativo che apre ogni battuta del comico interpretato da Gregg Turkington è la domanda che ci poniamo noi spettatori una volta giunti ai titoli di coda: perché? Perché realizzare questo film? Quale il senso di questa discendente parabola esistenzialista? Entertainment di Rick Alverson è un film strano e ostico, per uno spettatore che non getta mai la spugna, che sa abbandonarsi all’inerzia di un’odissea che pare (e ripeto pare!) non condurre da nessuna parte.
Com’è difficile (far) ridere? Già, la risata, questa sconosciuta. In un mondo, qui esemplificato da un “pellegrinaggio” nei peggiori locali d’America, che non sa più ridere, un comico si ostina nella propria missione, convinto che l’acidità delle sue luride battute sia la giusta moneta per solleticarci la pancia. “Divertimento”, “spettacolo”, “intrattenimento”. Sono molteplici i modi con cui possiamo tradurre e intendere il titolo di questo film che sconfina sempre più verso l’assurdo. Qualunque scelta facciamo, quello che otteniamo ne è l’esatto contrario, perché Entertainment non ci fa divertire, mai, neppure una volta, neppure per un secondo, rimanendo perpetuamente concentrato nel raccontarci un “carattere” confinato nella propria solitudine, diretto senza ritorno verso l’isolamento spirituale e fisico. Il Comico incappa in personaggi (tendenti al tragico che non alla comicità) più assurdi di lui, assai più improbabili di quelli raccontati nelle sue caustiche affermazioni sulle celebrità dello show business. La realtà è più triste di ogni battuta immaginata, e il Comico ne fa profondamente parte.
Entertainment di Rick Alverson ci ricorda un po’ Lost in Translation, ma, a differenza del film di Sofia Coppola, non dà speranza di salvezza ai propri personaggi. Giocando coi colori, ora sbiaditi fino all’appiattimento e ora acidi fino all’elettrico, ci conduce in un limbo, della visione e della comprensione, che astrae dalla realtà, una realtà dalla quale speriamo, inutilmente, che emerga un bagliore di vita, un colpo di scena, il più piccolo e isolato palloncino a darci ancora un appiglio di gioia. E invece no, Entertainment procede, lento e stoico, verso quel finale in cui nemmeno una risata isterica, sull’orlo che delimita libertà e disperazione, ci dà il tempo di un respiro nuovo, di vita, di ripartenza. E la beffa è che Alverson, come dimostra la lunghissima pernacchia di uno degli ultimi squallidi show mostrati, ci prende anche un po’ in giro. In una sfida di resistenza che non ha né vincitori né vinti.